Se vi erano dubbi, Nicolás Maduro ha calato sul tavolo le sue carte. Il , la criptomoneta che il Venezuela, primo paese al mondo, si appresta a lanciare sarà garantita da «riserve certificate» di petrolio, oro e diamanti del paese caraibico. Ritornando sul tema – peraltro assai controverso – il presidente venezuelano ha detto che nei prossimi giorni firmerà «la creazione dei certificati che porremo come garanzia della criptomoneta venezuelana, il Petro, consistenti in barili di petrolio della fascia petrolifera dell’Orinoco (la maggiore riserva di greggio del mondo, ndr)». Non solo, Maduro ha chiesto anche che siano certificate le riserve «di oro e di diamanti» per il medesimo scopo. Il ministro dello Sviluppo minerario ecologico,Victor Cano, ha informato che nei prossimi giorni verranno certificate riserve in oro del paese per un totale di 8.900 tonnellate (di modo che il Venezuela sarebbe il terzo paese al mondo per quantità di oro).

Ciliegina sulla torta, Maduro ha mostrato un video nel quale il suo predecessore, Hugo Chávez ,rivela la sua idea di una petromoneda basata sulle grandi riserve petrolifere.

L’iniziativa del presidente venezuelano «per rompere il blocco finanziario» contro il Venezuela decretato dal presidente Donald Trump e risollevare l’economia in forte crisi del paese solleva però molti interrogativi, anche da parte di esperti che consigliano il governo di Caracas.
Uno di questi, John Villar, un impresario di criptomonete con sede a Caracas, ha affermato che «il Petro ha le potenzialità per risolvere vari problemi» : non solo permetterà al governo venezuelano di eludere le sanzioni economiche degli Usa, ma anche potrebbe aiutare a combattere la corruzione. La tecnologia blockchain che sottende alla criptomoneta mantiene infatti un registro completo delle transazioni, fornendo alle finanze del governo socialista una grande misura di trasparenza. Nelle ultime settimane più di 60 esecutivi e manager di compagnie petrolifere statali venezuelane sono stati arrestati per corruzione, alcuni per aver mentito sulle cifre di produzione.

Il problema, secondo Villar, è che se la nuova moneta sarà garantita da prodotti venezuelani, «di fatto si sta creando un altro bolivar» . Ma se il governo non è stato capace di difendere la moneta nazionale – che nel mercato nero si è svalutata del 3000% secondo il sito (ovviamente legato agli Usa) Dolar Today.com – «non è certo che una moneta garantita dalle materie prime dello stesso governo ispiri maggior fiducia».

Secondo un altro consigliere del governo, Gabriel Jiménez, direttore della The Social Us specializzata in applicazioni di criptomete, «il Petro potrebbe essere uno strumento utile per i venezuelani che hanno perso la fiducia nel bolivar e stanno cercando un luogo sicuro per nascondere i loro denari». In un certo senso, però – ha aggiunto in una dichiarazione all’agenzia spagnola Efe – il Petro «non fa che riconoscere una situazione di fatto: di fronte al drammatico collasso del bolivar, molti venezuelani sono ricorsi a criptomonete come bitcoin, ethereum e dash per preservare il valore dei loro soldi». Dunque perché creare una nuova moneta, sostiene Villar: «Basterebbe permettere di utilizzare quelle che già circolano».

La questione delle pesanti sanzioni contro il Venezuela decretate dal presidente Trump (e dall’Ue) è anche al centro del dibattito politico nel paese, che riguarda la possibilità di svolgimento «in modo concordato» delle elezioni presidenziali l’anno prossimo. Un accordo con la maggioranza dei partiti dell’opposizione – riuniti nella Mud, Tavola dell’unità democratica – che hanno deciso di partecipare al dialogo con il governo a Santo Domingo – con la mediazione dell’ex presidente dominicano e alla presenza di alcuni facilitatori latinoamericani oltre che all’ex premier spagnolo Zapatero – non è ancora stato possibile. Ma si ha la speranza che possa essere raggiunto nella prossima seduta, il 15 dicembre. Almeno questo è il parere dei ministri degli Esteri di Cile e Messico che partecipano ai colloqui.

La linea del dialogo è fortemente sostenuta dal presidente Maduro che ha invitato i leader della Mud a trattare direttamente con lui a Miraflores, il palazzo presidenziale. Martedì scorso però il ministro dell’informazione, Jorge Rodriguez, ha posto una nuova condizione per giungere a un accordo «definitivo», in qualche modo collegata con l’adozione del Petro. Ovvero che «la destra venezuelana deve impegnarsi a chiedere la fine delle sanzioni Usa» che in precedenza aveva sollecitato.