Genere popolare per eccellenza, l’Horror sta ricevendo in questa anni una linfa nuova e per alcuni inaspettata, da un altro media estremamente popolare come il fumetto. Questo incontro tellurico si sta propagando verso il cinema o per meglio dire verso il campo della narrazione audiovisiva, visto che le serie tv sono uno dei territori su cui meglio e con risultati più dirompenti si è espressa questa contaminazione.

Non è affatto nuova questa spinta dal basso in direzione del rinnovamento delle forme e delle strutture del cinema.

Negli anni sessanta proprio l’horror vivificò il cinema americano a partire dalla cantina di quel gran maestro che fu Roger Corman, il quale con allievi del calibro di Francis Ford Coppola e Peter Bogdanovich cercava di portare avanti un cinema spurio, espanso, capace di assorbire gli stimoli e anche le ferite degli anni sessanta e dei primi settanta, tensioni razziali, guerra del Vietnam e così via.

Oggi l’orrore immaginato e rappresentato sta vivendo una nuova fase, tornando ad essere un paradigma più che stimolante per leggere la realtà, quella sì davvero popolata di mostri verissimi e in carne ossa, pronti a prendere le forme più varie ma in fondo in fondo sempre abbastanza riconoscibili. Raggiungendo risultati qualitativi e raffinatezze prima impensabili per B-movie realizzati nelle cantine con pochissime risorse. Basti vedere il successo planetario di una serie come True detective che ha ridato smalto a un attore da tempo non proprio in formissima come Woody Harrelson e fatto definitivamente approdare al cinema d’autore Matthew McConaughey.

Qui come in molti altri risultati di questa nuova tendenza, il marcio non è concentrato in un luogo specifico, tutto è per così dire illuminato, angoli bui non ve ne sono. Eppure non ci sarà occasione di tornare indietro per i due detective. Non siamo nel Maine si Stephen King, piuttosto nelle polverose pianure lovecraftiane, vetuste e millenarie. La sceneggiatura è firmata da Nick Pizzolato ma il cuore remoto e spaventoso di quanto i due detective via via vanno scoprendo viene da uno scrittore americano ancora abbastanza sconosciuto in Italia, Thomas Ligotti, nome che i lettori italiani stanno conoscendo per merito dell’editore Il Saggiatore che ha pubblicato prima la sua raccolta di racconti Teatro grottesco ed ora manda in libreria La cospirazione contro la razza umana (pp. 304, € 22).

Un vero e proprio trattato teorico che può essere anche ascritto come uno dei libri chiave per capire le metamorfosi dell’horror contemporaneo, una indagine filosofica e letteraria che ha come parametri non solo i grandi del genere come Lovecraft ma anche filosofi abbastanza sconosciuti come il filosofo tedesco Julius Bahnsen, del quale è la prima citazione contenuta nel libro, quella da cui diparte un po’ tutto il ragionamento: “L’uomo è un’autocosciente nullità”.

Tutta la realtà, il mondo che si svolge davanti ai nostri occhi, sarebbe governata da una forza indefinibile proiettata unicamente sul caos, di cui noi esseri umani saremmo soltanto dei burattini, dotati, appunto, di un pensiero autocosciente, cioè della capacità di rendercene conto. Questa autocoscienza della nostra condizione ci spinge verso un baratro da cui soltanto la rimozione ci salva, almeno apparentemente.

Capire il male in tutte le sue manifestazioni significa cominciare a guardare in faccia questa condizione di caos e solitudine.

Altro autore gravido di conseguenze per Ligotti è un norvegese, Peter Wessel Zapffe, autore de L’ultimo messia, in cui proprio la nostra capacità di riflettere sull’esistenza è considerata la fonte di tutte le disgrazie della razza umana, alterando il nostro ruolo nell’universo, nel creato.

Per evitare di restare incatenati in queste riflessioni sulle disgrazie del mondo l’uomo, secondo Zapffe ha utilizzato una serie di strategie volte al nascondimento, alla distrazione, alla sublimazione, oppure cercando degli ancoraggi in alcuni sistemi sociali come la famiglia, la religione e così via.

E’ un viaggio a ritroso nella nostra coscienza filosofica quello che Ligotti ci propone, un pensiero dell’estremo che vuole raggiungere il cuore della nostra sofferenza. Arrivando anche a paventare soluzioni paradossali, ma pienamente in sintonia con gli autori che esamina.

Come ad esempio il pensiero dell’autorimozione della razza umana dal mondo. Incubo trasformato in panacea dall’autore supremo di tutto l’orrore moderno H. P. Lovecraft che in Le Montagne della follia parla di “Cose antiche che dovrebbero aver creato tutta la vita sulla terra per celia o per errore.”

La natura procede per errori, noi siamo un errore che sa di esserlo, il passo a questo punto potrebbe anche avere una sua logica.

Cospirazione contro la razza umana è un libro complesso e labirintico, nel quale si compiono con cautela i primi passi ma che poi affascina per la radicalità con cui accosta quelle che finora sono state ritenute le visioni spaventose di grandi scrittori perlopiù emarginati e antisociali con il pensiero filosofico, con il conoscenza dell’umano da parte di autori come Schopenauer e Nietszche.

Accanto a Ligotti stiamo scoprendo in questi anni un altro personaggio di primo piano per l’horror moderno, quel Robert Kirkman, il quale, dopo The Walking Dead, sta per tornare sugli schermi televisivi con Outcast, la serie a fumetti pubblicata in Italia da Salda press. Il secondo volume di Outcast è uscito proprio in questi giorni, ed è intitolato Una vasta e infinita rovina (pp. 128, € 14,90).

La storia ha per protagonista Kyla Barnes, quello che si direbbe un uomo rovinato, un emarginato, anzi un reietto, uno che vive lontano da tutto e da tutti, in una casa ormai invasa dalle cavallette e dal rimorso per come sono andate a finire le cose.

Un giorno qualcuno bussa alla sua porta, è il reverendo Anderson, i due si conoscono bene perché molto tempo prima entrambi si erano trovati di fronte alla madre di Kyle, posseduta dal demonio, lì a detta di Anderson si era manifestata per la prima volta la capacità di ragazzo di fronteggiare il male. Ora c’è da liberare un ragazzo di nome Joshua dal maligno e Kyle, pur riluttante, accetta.

Ma oltre alle povere anime possedute e rovinate dai demoni c’è qualche altro nemico che è arrivato in città e con cui i due devono fare i conti, un nemico con le fattezze di un normale esponente della middle class americana, vestito come un commesso viaggiatore, eppure incredibilmente pericoloso.

E mentre i due si addentrano sempre di più nel cono d’ombra riaffiorano i tanti traumi della vita di Kyle, a cominciare dalla madre, la prima volta in cui quello che allora era solo un bambino, viene a contatto con una persona posseduta. Brandelli di ricordi prima d’allora rimossi o conservati nell’angolo più lontano possibile del proprio cervello, tornano a galla in tutto il loro furore ancora inappagato, a interrogarne nuovamente la coscienza.

La serie è ambientata nel West Virginia, in una piccola cittadina, archetipo consolidato dell’horror americano, con le sue poche case indipendenti, i lunghi viali alberati, le persone che si conoscono tutte tra di loro e covano ognuna risentimenti e desideri di vendetta per i motivi più futili.

Cos’è che ha fatto diventare questo luogo e queste persone così appetibili per un evento così oggettivamente straordinario come il demonio?

Robert Kirkman, classe 1978, si conferma con Outcast un autore capace di affrontare gli elementi più tipici dell’horror e dargli un interesse nuovo per noi, con una scrittura, del tutto priva di fronzoli o di troppe spiegazioni.

Come in The Walking Dead l’avere a che fare con il male innesca un percorso di conoscenza che implica la possibilità di conoscere e di conoscersi meglio, quindi di riflettere sulle possibilità insite nelle relazioni umane o in gruppi sottoposti a particolari elementi di pericolo.

L’horror come strumento di indagine sociale non è ovviamente un fenomeno nuovo, basti ricordare gli affondi di John Carpenter nella società americana degli anni ottanta e novanta, passando dal reaganismo agli anni della presidenza Clinton, con i suoi afflati sulla terza via.

A Kirkman la dimensione strettamente politica e ideologica non interessa molto, il suo occhio è concentrato sui personaggi, sono loro che ci parlano e la cui storia in prima istanza ci deve interessare e concentrare.

Anche quando Kyle ha finalmente capito quale può essere il senso della sua vita qualcosa continua a perseguitarlo e a confonderlo, come se fosse un pericoloso diversivo.

Sono le tracce del suo passato, la madre, la figlia, poi quel bambino salvato, tutte queste cose si mescolano tra loro, forse ognuna rappresenta un frammento di quell’universo che qualcuno di nome Sidney vorrebbe che restasse nascosto. Ed è lui, il reietto, quello con cui nessuno vuole più avere a che fare l’unico punto di congiunzione tra tutte queste manifestazioni del male. E l’unico che può farle venire alla luce.

I mostri e le manifestazioni che incontra non sono visioni ma manifestazioni di quell’errore portato dentro da ciascuno di noi, i cosiddetti normali.