È famosa e spesso abusata la citazione di Italo Calvino che ne Le città invisibili scrive dell’inferno dei viventi, ma pare essere decisamente la definizione più straordinariamente aderente del senso e della struttura del nuovo romanzo di Enrico Sibilla, Aurora Liminalis (Il Saggiatore, pp. 298, euro 21): «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

UNA DEFINIZIONE che coglie nel segno tanto più quanto Sibilla si distacca dal modello calviniano per definire uno spettro d’azione dentro al quale nessuna cura o attenzione è possibile. Solo lo scavo a tratti auto lesionistico è ammissibile in un’esistenza che offre nella sua scoperta continua più che un possibile senso un necessario e obbligato dissenso alla sua stessa evoluzione che troppo spesso lascia disarmata l’umanità.
Parabola della discesa agli inferi di Principe musicista abbandonato dalla sorte, Aurora Liminalis è un romanzo sull’assenza della divinità in ogni sua forma (anche e soprattutto artistica) e della presenza a tratti immorale, per non dire indecente di un’ostinata immortalità dell’uomo. Si tratta chiaramente dell’immortalità che attiene al continuo succedersi del presente quotidiano, del suo inesorabile incedere che trasporta come una vecchia carcassa stonata corpi sempre più assenti alla felicità come ai desideri. Non un romanzo distopico (altra categoria il cui abuso è ancora oggi più assordante), bensì un romanzo del quotidiano malessere che sotto lo strato di una contemporaneità ossessiva e puntuale nei riferimenti come nelle citazioni più o meno occulte, raccoglie l’eredità di uno sguardo esistenzialista puro e audace.

A fianco alla sconfitta di Principe e al suo fallimento fatto di serate squallide, ma umanissime, si affaccia la figura seducente e misteriosa di Iride e di un ingaggio misterioso che tradisce però già da subito un dolore disumano e forse impossibile da sopportare anche per chi sembra non avere più alcuna paura a scendere gli ultimi scalini di un insuccesso ormai acquisito e da cui pare impossibile retrocedere.

IL SUPERAMENTO di questo confine è il passaggio ulteriore di un romanzo potente e impalpabile al tempo stesso, difficile da contenere e dal linguaggio sempre più cadenzato e per certi versi austero. Una vera e propria marcia trionfale che fa del fallimento e dell’inferno stesso gli strumenti necessari alla vita anche se forse al prezzo della stessa. Il romanzo, dai contenuti saggistici rilevanti e ulteriormente esplorabili per multipli livelli di lettura, non perde però mai il gusto del racconto, per certi versi della trama quale messa in scena esplicita per raccontare pienamente e voluttuosamente quella cosa oscura e spesso impercettibile che si definisce semplicemente «storia». La storia di un uomo, la storia di una sconfitta e di come la musica oltre un determinato confine possa trasformarsi da impalpabile oggetto a muro sonoro invalicabile per tutti i nostri umani sensi.

Costruito per brevi capitoli e per frasi caustiche e telegrafiche, Aurora Liminalis è un passo ulteriore nella definizione della personale e potente poetica di Enrico Sibilla. Un libro frenetico e caldo, una fuga finalmente possibile da quell’abisso che è troppo spesso il nostro presente contemporaneo.