È ormai cosa risaputa che Dante, oltre che affidarsi alla ricca letteratura relativa ai «viaggi ultramondani» nella tradizione sia latina (Eneide) sia cristiana (e qui entrano in effetti anche le compilazioni medievali di Bonvesin da la Riva e di Giacomino da Verona) s’ispirò con estrema probabilità alla letteratura mistica musulmana relativa al mi’raj, cioè all’ascesa notturna del Profeta Muhammad dalla «spianata del Tempio» di Gerusalemme al cielo.

Le molte e straordinarie consonanze tra i testi arabo-musulmani descriventi il mi’raj e la Divina Commedia erano state segnalate fin dal 1919 in un prezioso libro erudito dell’islamista spagnolo Asin Palacios che oggi si può leggere fortunatamente anche in italiano (M. Asin Palacios, Dante e l’Islam, traduzione italiana, voll.2, Nuova Pratiche Editrice). Il libro suscitò in effetti vivacissime polemiche. Ma ormai, la tesi di Asin Palacios è universalmente nota e accettata dalla maggior parte dei critici, come ha dimostrato anche uno scritto abbastanza recente di Maria Corti.

La prova definitiva che Asin Palacios era nel giusto venne fornita da un illustre orientalista italiano, Enrico Cerulli, che nel 1949 pubblicò un testo duecentesco d’origine spagnola, il Liber de Scala, dimostrando che si trattava della traduzione latina di un testo mistico arabo-islamico redatto a sua volta in area probabilmente iberica, il Kitab al-Mi’raj (Libro dell’Ascesa). Tale testo sarebbe stato conosciuto dal maestro di Dante, Brunetto Latini, esule in Spagna alla corte di Alfonso X di Castiglia dal 1260; rientrato in Firenze con i guelfi nel 1267, Brunetto avrebbe portato con sé il Liber de Scala, al quale il suo allievo Dante avrebbe avuto accesso, traendone alcune idee per la struttura del poema. Tutto ciò era ben esposto già dal Cerulli nel suo Il Libro della Scala e la questione delle fonti arabo-spagnole della Divina Commedia (Napoli 1949).

Dante «orientalista»

Nella vulgata dei nostri giorni, soprattutto in un’atmosfera di profondo sospetto e svalutazione della cultura islamica, si saluta con piacere uno studio che ritorna su questi temi; come scrive Brenda Deen Schildgen (Dante e l’Oriente, Salerno Editrice, euro 18, pp.206), infatti, «nonostante le preoccupazioni teologiche e politiche riguardo all’Islam, l’influenza della cultura araba sullo sviluppo occidentale, per quanto spesso sottovalutata, fu straordinaria»; la cultura occidentale nel suo complesso, ma anche quella dantesca in particolare. Non bisogna infatti confondere due distinte questioni: il giudizio che Dante dava di Maometto eretico e seminatore di scismi e l’ispirazione relativa alla struttura dell’Aldilà quale il poeta immagina e quale risulta dal poema.

Oltre l’Islam, è però l’Oriente nel suo complesso ad aver affascinato e influenzato gli orizzonti culturali dell’età di Dante, ma in generale di tutto il basso Medioevo e oltre: l’Oriente del meraviglioso, fatto di terre che inizialmente si conoscevano solo in teoria, attraverso le opere (spesso imprecise e immaginifiche) degli antichi, ma che le esplorazioni andavano riempiendo di nuovi dettagli. È dunque sull’insieme di questi temi che il libro di Schildgen si sofferma, declinando le molte possibilità del Dante «orientalista».

D’altra parte, quella era un’epoca nella quale la società europea era ricca di curiosità e desiderosa di scoprire cosa vi fosse oltre i suoi confini; soprattutto perché questi confini, nei primi secoli del Medioevo, erano stati piuttosto ristretti. Ed è una caratteristica, quella dell’apertura verso l’altro, che si stenta davvero a riconoscere nell’Europa attuale, benché si continui a parlare di cultura globale.
Lo dimostra bene un intenso libro di Franco Cardini, L’Islam e una minaccia. Falso! (Laterza, pp. 216, euro 10), nel quale si ripercorrono i pregiudizi sull’Islam che sono moneta corrente ai nostri giorni, purtroppo anche nel dibattito (pseudo) politico. E dunque ci sono brevi capitoli su «l’Islam moderato non esiste», «Islam e Modernità sono inconciliabili», «il Corano è un libro di guerra», «i musulmani stanno invadendo l’Occidente» e così via.

La povertà di tale bagaglio polemico è riemersa anche di recente, soprattutto qui da noi, di fronte all’elezione del nuovo sindaco di Londra: il suo essere musulmano, figlio di pakistani, pare il dato rilevante, mentre pochi si interessano al fatto che il grande capitale sta letteralmente divorando la città, area dopo area, e il programma del neo eletto Sadiq Khan pare andare in controtendenza rispetto alla gentrificazione. Insomma la realtà è complessa, e gli slogan non ci aiutano davvero a comprenderla. Il libro di Cardini si apre con la dedica «Alla memoria di Khaled Muhammad al-Assad, studioso e cittadino esemplare, martire dell’Islam e della scienza, decapitato a Palmira il 18 agosto 2015 per aver difeso strenuamente un patrimonio dell’umanità».

La tragedia di Palmira è stata dimenticata in fretta, almeno quanto in fretta ci si è dimenticati di celebrarne la liberazione. E anche per comprendere ciò che sta accadendo all’interno del mondo musulmano questo libro potrà essere una guida preziosa. Fra i suoi capitoli, uno è riservato al tema «Europa e Islam sono in guerra da sempre»: e subito jihad e crociata sono i termini che vengono in mente, e sui quali non si finisce mai di semplificare e di banalizzare.

Interessi terreni

Sarà allora assai utile la lettura di Paul M. Cobb, La conquista del Paradiso. Una storia islamica delle Crociate (Einaudi, pp.368, euro 32), un libro che arricchisce notevolmente le nostre conoscenze su una materia che proprio in Italia era stata affrontata da pionieri come Michele Amari e Francesco Gabrieli, e che ha avuto qualche eco grazie a una fortunata antologia di Amin Maalouf.

Il testo di Cobb evidenzia come, al pari di quanto avveniva nell’Occidente cristiano, anche nel mondo musulmano questi episodi bellici erano visti da angolazioni molto differenti: se non mancavano interessi religiosi (quelli che un po’ sbrigativamente chiamiamo «guerra santa»), le ragioni per combattere e/o allearsi erano di volta in volta politiche, strategiche, economiche; e i fronti erano sempre mutevoli, nel senso che ci si poteva alleare con cristiani contro altri musulmani, secondo le convenienze.

La lettura di questi tre libri costituisce una ennesima pietra tombale sull’idea dello «scontro fra civiltà». Ma poiché la retorica guerrafondaia cela interessi molto più indicibili, si può esser certi che non basteranno i libri ad arginare la piaga; restano tuttavia fondamentali per dare argomenti a quanti vorranno analizzare il presente alla luce di quell’ «intelletto» sul quale tanto si è speso Dante: ovviamente sulla scorta dei filosofi arabi come Avicenna e Averroè, che rileggevano i greci. È la spirale labirintica della cultura, contro le semplificazioni dell’ignoranza del nostro presente.