L’articolo di Piero Bevilacqua sulla parcellizzazione dei saperi (il manifesto, 28 gennaio) offre un’analisi e una proposta su cui lavorare.
Sul processo che ha portato il neoliberismo a diventare «la forma di razionalità assunta dal capitalismo nel nostro tempo» e sulle conseguenze che ciò comporta è forse è utile qualche considerazione. Il punto partenza, a mio avviso, è da ricercare nella crisi del capitalismo dei consumi, giunta al punto limite già nei primi anni ’70. Il segno più evidente fu la diminuzione dei tassi di profitto che si registrò in tutti i settori, negli Usa, in Europa e in Giappone. Quella crisi richiedeva profonde innovazioni nei modi di produzione, nell’organizzazione del lavoro e nei sistemi di vita. Invece, i gruppi economici e politici dominanti preferirono una risposta decisamente conservatrice. Un aumento dei margini di profitto fu cercato attraverso un ancor più intenso sfruttamento e mercificazione del lavoro e delle risorse naturali.

E non c’è dubbio che tutto ciò ha favorito la piena affermazione del paradigma neoliberista fino a farne la cifra dominante della scena economica, sociale e politica nei paesi del capitalismo storico per più di un trentennio, estendendo la sua influenza in quelli di nuovo sviluppo, condizionando gravemente quelli più poveri e troneggiando nelle maggiori istituzioni economiche e politiche internazionali.
Il neoliberismo trionfante (sia quello aperto e proclamato dai governi conservatori, come il suo camuffamento nella cosiddetta “terza via”) ha garantito il prevalere pressoché incontrastato della razionalità contingente, utilitaria e strumentale propria del capitalismo. Un capitalismo che negli ultimi 35 anni ha potuto muoversi senza freni e controlli proclamando la superiorità del mercato auto-regolato, la necessità di un deciso arretramento dello Stato rispetto ad esso, finendo col determinare una sostanziale rinuncia della politica a svolgere le sue essenziali funzioni di guida e di scelta in vista di obiettivi d’interesse generale.

A quella logica irresponsabile, proprio perché schiacciata sul contingente e guidata da interessi parziali, oggi è quanto mai urgente contrapporre una nuova razionalità e consapevolezza storica capace di progettare un futuro migliore del presente, costruito sulla base dei bisogni autentici e delle aspirazioni profonde della grande maggioranza delle popolazioni, nel Nord come nel Sud del mondo.
Un altro punto, a mio avviso, molto significativo dell’analisi stimola un’attenta riflessione sull’alienazione estrema ormai raggiunta nel rapporto dell’uomo con la natura.

Stiamo assistendo ad una crisi sempre più generalizzata che, non solo sacrifica i bisogni elementari ad altri bisogni, artificiali e gratuiti, determinando una vera e propria mutilazione dell’uomo, ma addirittura insidia i beni naturali che dovrebbero soddisfarli. Si tratta di forme di rapina che colpiscono bisogni primari nel modo più irreparabile, attraverso la rarefazione dei beni più vitali per l’intera specie, come l’aria respirabile, l’acqua potabile, la vegetazione, il suolo coltivabile.

S’impone, perciò, una radicale conversione – teorica e pratica insieme – capace di operare quella riconnessione dell’uomo alla natura che è richiesta dagli stessi sviluppi della scienza e che riguarda direttamente il nostro possibile futuro.

Per muovere in tale direzione, è necessario ricomporre il rapporto d’intima appartenenza dell’uomo alla natura, contro ogni astratta e alienante idea di estraneità e dominio dell’uno rispetto all’altra. Questo mi sembra il presupposto epistemologico per «tentare i sentieri di una possibile cooperazione tra i saperi, in grado di fondere scienze della natura e umanesimo quale base di un nuovo progetto di società» come auspica Piero Bevilacqua.

Il proposito, quindi, di rendere possibile, su questa base, una rinascita e convergenza del pensiero critico aggregando energie in «una comunità cooperante di pensiero e ricerca» è, a mio avviso, necessario e possibile.

Per tradurre in pratica tale disegno, penso che occorra auto-organizzarsi in un’associazione informale e indipendente, aperta al continuo scambio di idee e contributo di studiosi di diversi ambiti scientifico-disciplinari, nonché di varia formazione.

Lo strumento più idoneo potrebbe essere la creazione di un sito web dotato di un archivio in cui raccogliere materiale utile già prodotto e nel quale sia possibile inserire nuovi articoli, saggi, sintesi e segnalazioni di libri che si ritengano significativi per gli scopi indicati. Scopi che saranno inevitabilmente discussi, ridefiniti, arricchiti, com’è auspicabile che avvenga negli sviluppi di una battaglia delle idee viva ed aperta.
E’ probabile che si renda necessaria la costituzione di un gruppo di coordinamento composto da volenterosi che s’impegnino a tenere le fila dell’associazione. Penso ad un gruppo non numeroso e costituito sia da studiosi di maggiore esperienza che da ricercatori più giovani, in modo da valersi di attitudini e modi di operare in parte diversi e, al tempo stesso, felicemente complementari.

Si tratta di un’impresa certamente impegnativa, ma irrinunciabile.

Il neoliberismo si è dimostrato incapace dell’indispensabile e vitale opera di trasformazione che consente la ri-organizzazione continua dei rapporti sociali e il rinnovamento della loro espressione politica. Senza di che, il sistema è avviato alla dispersione e al caos, ovvero alla fine entropica.

Se esistono, come esistono, saperi ed energie capaci di contrastare questo disfacimento e di costruire nuove coordinate di senso per le scelte individuali e collettive, allora l’officina per l’egemonia è una buona occasione.