Quando, con parole divenute celebri, Emerson scrisse: «Non puo esserci alcun eccesso nell’amore, nella conoscenza o nella bellezza», di certo non pensava ai molteplici e non molto nobili eccessi descritti in libri come Lamento di Portnoy, Il teatro di Sabbath o L’animale morente.
L’aspetto morale di questi miei libri, per non parlare della parabola morale di protagonisti da cui emana un odore salmastro di condotta licenziosa, non avrebbe incontrato la sua approvazione né gli avrebbe fornito alcun piacere spirituale. Anzi, se ancora si aggirasse col suo passo altero per le strade di Boston e Concord, Emerson sarebbe portato a considerare questa nostra cerimonia apparentemente innocua come un affronto alla fede trascendentalista e alle potenzialita divine dell’Uomo.
Tuttavia, anche se lui avrebbe tutte le ragioni per giudicarmi come minimo con condiscendenza, eccomi qui! Sono stato convocato perché mi presentassi stasera davanti a questa accademia e sono venuto come mi era stato indicato, indossando non una cenciosa tenuta da giullare ma una giacca e una cravatta, e adottando un comportamento mansueto.
Vi ringrazio, e vi ringraziano anche i protagonisti dei romanzi che ho menzionato prima, una combriccola molto poco trascendentalista e del tutto priva di una concezione elevata dell’essere o di un profondo interesse per l’educazione dell’umanita o l’essenza della religione o il genio di Goethe. Una combriccola che non nutre alcun interesse per l’uomo quale dovrebbe essere, o per quel che sarebbe il giusto ideale.
Si tratta piuttosto di una cerchia di uomini portati alla provocazione maliziosa, all’improvvisazione satirica, all’interpretazione brillante, alla sfrenatezza farsesca, all’irriverenza ironica, al monologo torrenziale, alla corporeità chiassosa, al delirio simulato, all’esplicita derisione, all’incessante concupiscenza e al lasciarsi andare a istinti disdicevoli. Il primato del ludus, della giocosità sfrontata, è onnipresente, e lo è pure la voce sovversiva, frutto di una profonda diffidenza per i valori tenuti in alto conto da altri, e per tutte le loro splendide idee. È qui che sta l’eccesso: nella ben poco idilliaca confusione e impurità del vivere tutte le inverosimiglianze inopportune che mandano a gambe all’aria ogni certezza.
Si tratta di una cerchia – o forse meglio di un circo, un’eccentrica troupe di artisti irriverenti – di cui fanno parte Alexander Portnoy, ridicolo zimbello bruciato dall’erotismo, Mickey Sabbath, burattinaio pagano del proprio teatro osceno, e il professor David Kepesh, temibile mentore accademico dell’effervescenza sessuale degli anni Sessanta americani, nonché paladino intellettuale della gratificazione tanto dell’anima quanto del corpo. Ognuno di loro subisce il richiamo delle sirene dell’avvenenza – ognuno di loro è un adepto di quell’irrefrenabile sensualità che, in Ulisse, Stephen Dedalus definisce «dongiovannismo». C’è sempre qualcosa di assurdo e di ridicolo nella loro infelicità ogniqualvolta si abbandonano a quell’impresa licenziosa della cui barbarie non riescono mai a rendersi pienamente conto. Non c’è da stupirsi se, nel maneggiare la dinamo della libidine, tendono a sconfinare nel territorio della follia.
Quando, in Camminare, Thoreau parla della «spaventosa ferocia» – l’efferatezza – «che spinge gli amanti l’uno contro l’altro», temo che si riferisca a quella che per David Kepesh è la fonte e la vetta della felicità. I clauneschi esponenti di questa troupe hanno senza dubbio stabilito – per prendere a prestito una tipica locuzione di Emerson – «una relazione originale con l’universo».
«Costruite … il vostro mondo», esortava Emerson, e non si può negare che proprio questo facciano i riottosi individui di cui stiamo parlando, anche quando non possono non guadagnarsi la furibonda avversione degli ideologicamente consacrati, di coloro che si dedicano con tutto il cuore all’elevazione morale dei propri simili. Gli inevitabili scontri di valori, e le filippiche che ne derivano, sanciscono il loro destino di bastian contrari e al contempo danno loro un’intima soddisfazione. In questi libri, tali scontri fanno da catalizzatori per un dramma comico da cui, pur con tutta la gaiezza che si accompagna alle scorribande carnali, di rado è assente il conflitto morale. Nessuno di questi tre personaggi riposa sugli allori della virtú, e non mancano le tribolazioni emotive. Prima che il dramma sia concluso, tutti coloro che aderiscono alla visione del mondo dongiovannesca – coloro la cui devozione è rivolta all’opposto di ciò che viene decretato, coloro che hanno una sconfinata capacità di farsi malvolere – trovano inevitabilmente chi è piú scaltro di loro.
Sono estremamente onorato di ricevere un premio tanto prestigioso, e soprattutto lieto di entrare a far parte di una schiera che conta tanto illustri predecessori, inclusi alcuni fra i maestri letterari del Novecento che piú ammiro.
Io e i miei ludici libertini vi ringraziamo ancora.
Titolo originale
«The Primacy of Ludus»,
dalla sezione «Spiegazioni».Collected Nonfiction 1960-2013
© 2017 Philip Roth.
Pubblicati in accordo con The Wylie Agency LLC. Tutti i diritti riservati.
© 2018 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, Traduzione
di Norman Gobetti