È in uno dei punti più sensibili dei «confini esterni» dell’Unione Europea che uomini e donne provenienti da Paesi e mondi diversi si incontreranno per siglare un patto: per stendere la «Carta di Lampedusa» e per impegnarsi a dare attuazione ai suoi principi.

Lampedusa, in effetti, è diventata uno snodo strategico nelle politiche europee di controllo dei confini e delle migrazioni, che hanno ridisegnato complessivamente lo spazio mediterraneo. La stessa azione del governo italiano va vista all’interno di questo quadro più generale, caratterizzato dal tentativo di filtrare selettivamente i flussi migratori, di «esternalizzare» per quanto possibile la gestione dei richiedenti asilo, ma anche di «armonizzare» queste politiche con interessi strategici ed economici nei Paesi della sponda Sud del mediterraneo (dove la caduta di regimi «amici» e collaborativi, nel 2011, ha posto più di un problema). Le politiche di «cooperazione allo sviluppo», in particolare, sono state negli ultimi anni sempre più direttamente collegate al controllo dei confini e delle migrazioni.

Lampedusa è uno specchio in cui si possono vedere riflessi alcuni dei «risultati» di queste politiche. Sui fondali del mare che circonda l’isola giacciono migliaia di cadaveri. La composizione delle donne e degli uomini che riescono a sbarcare sulle sue coste racconta la violenza delle crisi e delle guerre che continuano a devastare molte aree sulla «sponda sud» del Mediterraneo (nonché molti Paesi da cui donne e uomini in fuga la raggiungono). I rituali di degradazione a cui, come tutti hanno visto, i migranti vengono sottoposti nel «centro d’accoglienza» dell’isola, ci parlano poi delle condizioni quotidiane di vita negli innumerevoli luoghi di detenzione in Europa e ai suoi confini. E quei rituali di degradazione preparano i migranti alle degradazioni e alle discriminazioni che costituiscono la «normalità» in Italia e in Europa, tanto nel lavoro quanto nella società.

Lungi dal rivestire un significato «marginale», ciò che accade da anni a Lampedusa, proprio in quanto «luogo di confine», fa dunque emergere alcuni dei caratteri strategici di quella che possiamo chiamare la costituzione materiale dell’Unione Europea: la definizione dei criteri di accesso al suo spazio, l’affermazione e la negoziazione dei suoi interessi nel rapporto con aree di grande rilevanza strategica ed economica, la stessa articolazione della cittadinanza europea e del «modello sociale» a essa collegato.

Tutt’altro che «marginale», conseguentemente, è la posta in gioco nella stesura della Carta di Lampedusa. L’annunciata partecipazione di attivisti e attiviste da Paesi della sponda Sud del Mediterraneo costituisce una straordinaria occasione di confronto su una diversa politica di cooperazione trans-continentale, nutrita dalla straordinaria spinta dei movimenti del 2011. La presenza di molti collettivi di migranti porterà all’interno della discussione di Lampedusa la voce dei protagonisti delle formidabili lotte che la migrazione continua a determinare tanto nei territori europei quanto ai suoi confini. E l’interesse dimostrato per la Carta di Lampedusa da parte di molti movimenti che si battono contro l’austerity prefigura più ampie coalizioni di lotta per un’altra Europa.

A Lampedusa del resto abbiamo visto in questi anni anche immagini diverse da quelle che si sono ricordate in precedenza: immagini di una solidarietà costruita in condizioni spesso difficili, l’immagine di una sindaca coraggiosa capace di dire le parole giuste al momento giusto, immagini della dignità, della rabbia e della resistenza di donne e uomini migranti che non intendono subordinare la propria libertà di movimento ai criteri di «convenienza» che ispirano le politiche migratorie italiane ed europee. Ecco, nella radicalità di questa affermazione di un principio (di un «diritto», se si preferisce) da parte dei migranti, in un gesto che si ripete quotidianamente nelle nostre città, c’è una traccia per intendere il significato della Carta di Lampedusa e dei suoi principi fondativi: un dispositivo di moltiplicazione e di intensificazione delle lotte che già oggi prefigurano un’altra Europa.