palermo

C’è vitalità e letteratura in questo primo romanzo del siciliano Carlo Loforti (Appalermo, Appalermo, Baldini&Castoldi, pp. 342, euro 16), un racconto costellato da ironia e disincanto. Una Sicilia che non inizia a fuoriuscire dai suoi cliché è un territorio perduto, sembra suggerire l’autore di questa storia di un giornalista sportivo che gioca con la vita, crogiolandosi nel suo cinismo e nella sua filosofia da strapazzo. Il romanzo intreccia le due lingue, l’italiana e la siciliana, in modo accattivante dandoci uno spaccato di quest’isola che non è più né la metafora di Sciascia né cronaca tragica.

C’è in questo romanzo la Palermo dei vicoli e dei quartieri popolari tanto più sconosciuta quanto più se n’è parlato a iosa negli anni della violenza mafiosa. «Sono cresciuto in mezzo a quelli come me, con i cognomi corti e le madri con la quinta elementare. Scorrere col dito è come scorrere la storia di una città che non conosciamo. Una città parallela che non vivremo mai veramente, nelle cui strade saremo sempre turisti». Una città dove, quando ci si imbatte in problemi quotidiani, le cose sfuggono di mano e diventano insopportabili. Una città, infine, dove tutto è avvolto da un clima che indica sospensione del tempo: meglio di invenzione di altri tempi.

L’opera di Carlo Loforti può aprire squarci letterari e linguistici nuovi se manterrà fede alla freschezza di questo suo primo lavoro, magari andando oltre un certo compiacimento del disincanto. Intanto ha il merito di abbandonare le strade facili della descrizione della bellezza (come tanta letteratura finta fa da troppo tempo) per quelle impervie dei problemi, cioè di una letteratura alta e tragica in un’isola che può tornare ad essere metafora di sciasciana memoria.