Forse è veramente finito il tempo di «essere consumatori» perché infine si viene consumati.

Il senso di impotenza che si prova a scoprirci complici involontari di una pressione, spesso insostenibile, sull’ambiente e sulle persone a causa di un prodotto che acquistiamo ci fa stare male.

È la serialità, principio primo dell’industrializzazione, che in primis attraverso le sempre più esasperate economie di scala poi attraverso la robotizzazione, rischia di lasciare privo di ruolo e di senso il lavoro e il lavoratore.

Lo vediamo bene in agricoltura: macchinari sempre più grandi e pesanti attraversano le pianure e, con un poco rassicurante cocktail di principi chimici in soccorso diserbano seminano, mietono e trasportano i raccolti in grandi complessi di trasformazione dove le materie prime velocemente diventano cibo per il marketing ed infine per il consumatore. Le pianure sono vuote di persone, chi se ne occupa è chiamato «terzocontista». Investe in macchine moderne, efficienti e costose per coltivare la terra di altri. Il suo obiettivo è mantenere in equilibrio le rate d’acquisto con le fatture emesse ai proprietari terrieri.

Le colline e le montagne si spopolano poiché non reggono la concorrenza dell’agricoltura di pianura e la mega urbanizzazione delle città diventa inevitabile.
Per le multinazionali agrochimiche e sementiere, che centralizzano e standardizzano proprietà e produzioni, si tratta di puro business. Per le multinazionali della distribuzione si tratta di marketing e di logistica.

In 20 anni il valore dei prodotti alimentari si è ridotto del 30% a favore dei servizi necessari alla loro distribuzione: fatto 100 il costo di un prodotto confezionato, oggi 70 sono spesi per raggiungere il consumatore. Nel restante 30 si conteggiano confezione, trasformazione industriale, magazzino, imposte, utili d’impresa ed infine la materia prima.

Sperequazione ovvero una totale mancanza di equità e di reciprocità, è alla base di questo modello e di tutte le sue implicazioni. Compreso il furto di vita e vitalità perpetrato verso molti e verso il nostro pianeta.

Nella strategia agro-ecologica l’uomo partecipa, è anello insostituibile fra la terra, gli animali allevati, il cibo che produce e l’ecosistema che gli è affidato per preservarlo nella biodiversità. Che a sua volta è strategia del vivente.

La terra, il cibo, il sostegno a una pratica di pluralità e paesaggio, che significa bellezza, non è cosa solo dei contadini e meno che meno dei moderni proprietari di tutto: è condizione indispensabile per la vita e la libertà di tutti.

Nella condizione attuale di profondo disequilibrio ambientale e sociale, non basta più essere consumatori critici. C’è necessità di azione aggregante e collettiva, concreta e contraria a questo disequilibrio, riparatrice e ricostruttrice di un modello basato sulle persone e sul loro diritto a vivere una vita degna, sull’abitare luoghi salubri e belli, sul riappropriarsi di senso e di passione, sull’azione che migliora il mondo in cui è compreso il nostro pianeta.

Ci sono molte call to action oggi a cui rispondere e partecipare: Good land sceglie il cibo e l’abitare la terra che è agricoltura e paesaggio. Natura da conservare e riparare. Dobbiamo agire e dobbiamo essere tanti!