La presenza arabo-berbera in Spagna ha avuto inizio nel 711 e la conquista della penisola poteva dirsi conclusa già nel 720, con l’eccezione di qualche area montuosa settentrionale. Com’era accaduto in gran parte delle regioni ex-bizantine conquistate dai musulmani, i nuovi arrivati erano stati tutt’altro che malvisti da una parte almeno della popolazione e il loro giogo preferito – perché ben meno pesante e vessatorio – a quello dei visigoti. Dalla Spagna alla Gallia meridionale, dove i franchi nominalmente dominavano dall’inizio del VI secolo ma le istituzioni erano fragili e le strutture sociali labili, il passo poteva esser breve. Dopo aver occupato Narbona nel 718, gli arabi si presentarono dinanzi a Tolosa nel 721 e conquistarono Nîmes e Carcassonne nel 725. Ormai, l’intera Provenza col bacino del Rodano era teatro delle loro gesta. Secondo una tradizione radicata, i musulmani vennero fermati a Poitiers dal «Maestro di Palazzo» del regno merovingio d’Austrasia, Carlo Martello.

Tale battaglia, combattuta nel 732 o, come altri sostengono, nel 733, è in sé meno importante del mito cui ha dato origine: si trattò di una modesta scaramuccia con un contingente musulmano che razziava il paese come in altre occasioni; ma la dinastia dei Maestri di Palazzo, dalla quale sarebbe uscito lo stesso Carlo Magno, aveva interesse a ingigantirla per utilizzarla contro la casa regnante legittima; i detrattori dei merovingi se ne servirono per promovere l’azione di Carlo e su questi scritti panegirici, nei secoli a venire, sarebbe cresciuto il mito dell’epica battaglia tra Cristianità e Islam. Nella realtà, i musulmani con i loro raid facevano parte di una lotta per il potere complessa e alla quale solo molti decenni più tardi sarebbe stato possibile – nella memoria collettiva, nutrita e magari condizionata dall’epica – attribuire motivi anche religiosi. Il rischio di una invasione islamica proveniente dai Pirenei era, tra VIII e IX secolo, in pratica nullo.

Tuttavia il sovrano e futuro imperatore Carlo Magno tentò tra 776 e 778 d’inserirsi nelle lotte fra i piccoli emirati aragonesi con l’intento se non altro di venir riconosciuto come mediatore tra essi. Quell’impresa però si concluse male, anche se sarebbe stata destinata ad entrare nella leggenda: difatti appartiene a essa il celebre episodio dell’imboscata di Roncisvalle, durante la quale sarebbe caduto un collaboratore e parente di Carlo, il comes Rolando.

Eginardo racconta
«Disposti dei presidi lungo i punti strategici dei confini, entrò in Spagna col più grande apparato militare possibile, e superata la catena dei Pirenei ricevette la resa di tutte le fortezze e i castelli che incontrò nell’avanzata, ritornandone con l’esercito integro e incolume; eccetto che, al ritorno, proprio sulla catena dei Pirenei, gli toccò sperimentare per breve tempo la perfidia dei baschi. Infatti, mentre l’esercito procedeva allungato nello schieramento come consentiva la strettezza del passo, i baschi prepararono degli agguati sulla cima di un monte … e fecero incursione dall’alto, rovesciando nella valle sottostante le ultime colonne delle salmerie e quanti, marciando in appoggio alla retroguardia, erano di sostegno a chi li precedeva; quindi, ingaggiata battaglia con questi, li uccisero tutti fino all’ultimo… In questo scontro caddero uccisi Egheardo, sovrintendente alla mensa dei re, Anselmo, conte palatino, e Rolando, prefetto della marca di Bretagna, con molti altri. E questo fatto non poté esser vendicato subito perché il nemico, compiuto il misfatto, si era disperso in modo tale che non rimase neppure la possibilità di sapere dove mai potesse essere cercato».

Così si esprimeva Eginardo, principale biografo di Carlo Magno, nel narrare la spedizione dei franchi in terra di Spagna. Nella Vita di Carlo la ricostruzione degli eventi è piuttosto precisa: la spedizione era stata organizzata per assicurare un territorio di confine tra franchi e arabo-berberi musulmani, ma l’eccidio della retroguardia era da attribuire a montanari baschi. Verso la fine dell’XI secolo, in un contesto completamente differente rispetto a quello in cui scriveva Eginardo, l’episodio avrebbe dato luogo alla celebre Chanson de Roland, uno dei testi epici fondamentali del nostro medioevo. Si era ormai in un’epoca in cui gli anarchici milites francesi costantemente dediti alla guerre feudali, proni ai saccheggi e a una condotta sovente banditesca, venivano spinti da una Chiesa che sempre più cercava di egemonizzare la vita e i costumi, a esportare la loro violenza verso altre mete: prima lungo il Camino de Santiago che conduceva al celebre santuario galiziano, più tardi verso il Vicino Oriente; in tal modo, si diceva, i cavalieri avrebbero potuto dare migliore impiego alle loro armi, mettendole al servizio della causa cristiana contro gli infedeli musulmani. Le Chansons de geste ne celebravano le imprese, ed è per questo che nella Chanson de Roland i baschi massacratori dei Paladini di Francia vengono trasformati in musulmani.

Il successo della Chanson fu strepitoso; nel corso del Duecento se ne conobbero traduzioni in molte lingue volgari, incluse quelle d’Italia, dove la Chanson, insieme ad altri testi simili, diffuse il gusto per l’epica cavalleresca e gli ideali cortesi. Alla fortuna della Chanson de Roland nella tradizione italica è dedicato l’accuratissimo studio di Giovanni Palumbo, La Chanson de Roland in Italia nel Medioevo (prefazione di Cesare Segre, Salerno 2013, 450 pp., 29 euro). Insieme alla cultura cavalleresca, la Chanson diffondeva anche un’immagine molto fantasiosa dell’Islam e dei musulmani. La lista dei principi dell’armata musulmana nella Chanson de Roland è una rassegna teratologica nella quale compaiono persino amazzoni e centauri, mentre l’emiro avversario di Carlo è aiutato da giganti. In generale, nell’epica, l’aggettivo che indica la religione di quelli che secondo i casi (e con molte varianti) sono detti saraceni, arabi, mori, berberi, turchi, persiani, azopard (etiopi), o designati con nomi più fantasiosi, è «pagano». I nomi degli eroi «pagani» manifestano di solito una certa parentela col magico-demonico: Loquifer, Agrapart, Noiron, Orgueilleux.

Conoscenza e pregiudizio
Il loro aspetto raramente è connotato come soltanto umano; sovente sono giganti, oppure hanno tratti diabolici: sono neri, cornuti, digrignano i denti. È da notare che questo tipo di descrizioni fiorivano in un’epoca nella quale la conoscenza concreta del mondo musulmano e dell’Islam erano decisamente maggiori rispetto a quelle di cui si poteva disporre al tempo di Carlo Magno e di Eginardo; gli scambi commerciali erano fiorenti, quelli diplomatici frequenti, soprattutto nel bacino del Mediterraneo.

In fondo, in molti avrebbero potuto smascherare come assurdi quei racconti e probabilmente per tanti lettori più avveduti essi costituivano, al più, un divertissement. È per questo che la Chanson de Roland, alla luce delle tante manipolazioni della realtà più accorte alle quali siamo abituati, figura oggi come una testimonianza un po’ naïf, sebbene sempre affascinante, sulla nascita della propaganda antimusulmana.