Il 5 giugno 2012 la numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, parlando a Riga ha elogiato apertamente il governo lettone per la diligenza e l’efficacia nell’applicare le politiche di austerità indicate dalla troika, apostrofando la Lettonia come una «storia di successo» che «dovrebbe servire da esempio per i leader dei paesi europei alle prese con la crisi». Di recente, sono stati giornali come l’Economist e il Wall Street Journal a spellarsi le mani nell’applaudire la «performance economica» della piccola repubblica baltica, continuando a ripetere il mantra della storia di successo.
A prima vista, i numeri srotolati dal Fmi sono di tutto rispetto se paragonati al biennio 2008-2009, quando la crisi finanziaria inghiottì la Lettonia facendo registrare una contrazione del Pil di quasi ben 30 punti percentuali, passando dal +10% del 2007 al -17% del 2009: il più grande tonfo finanziario che si ricordi dopo la grande crisi del ’29. Oggi la Lettonia ha tutte le carte in regola per entrare nell’euro (lo farà nel 2014) e risulta essere il Paese europeo con la crescita più alta, segnando un +5,5% nel 2011. Le stime della Commissione europea indicano un’ulteriore balzo in avanti nel 2013 (+3,8%) e nel 2014 (+3,1%). Ma stanno davvero così le cose? Non proprio. Ecco perché oggi vogliamo raccontarvi due storie. La prima ci aiuterà a smascherare i falsi trionfalismi della troika e smontare la narrazione del successo lettone propagandato dalla Lagarde e dall’establishment finanziario. La seconda avrà come protagonista John Christmas, americano, un professionista della finanza che ha lavorato per una delle maggiori banche lettoni e che da anni denuncia il malaffare che gira attorno il sistema bancario del paese e, soprattutto, accusa di «frode» una delle principali istituzioni finanziarie comunitarie: la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers). Se tali accuse trovassero conferma metterebbero in seria difficoltà l’operato degli organi di controllo che fanno capo alla troika e minerebbero alla base la credibilità e la trasparenza della Bers.
Il manifesto si era già occupato nel recente passato della crisi lettone. Nel 2009 e nel 2010 eravamo a Riga per raccontare le proteste della popolazione e la macelleria sociale provocata dalle politiche di austerità. Quello che però non avevamo capito era che la Lettonia sarebbe servita come cavia. Da lì a poco, infatti, la troika avrebbe applicato le stesse ricette alla Grecia e al Portogallo. Ma procediamo con calma. I numeri del successo lettone sopra citati sono solamente uno specchietto per le allodole. Basta farsi un giro sul sito web di Eurostat per capire la portata del disastro. E alla Lagarde consigliamo di farsi anche un giro nei dintorni di Riga la prossima volta che mette piede in Lettonia. Lì potrà vedere con i propri occhi la «storia di successo»: ospedali chiusi, scuole chiuse, stato sociale evaporato, stipendi dimezzati, disoccupazione alle stelle. Il 30,9% della popolazione vive sotto la soglia di povertà relativa. Avete capito bene, un lettone su tre è povero. Dal 2009 ad oggi il 10% della forza lavoro (la stragrande maggioranza giovani) è emigrata all’estero. Gli effetti disastrosi di questo esodo si vedranno a medio e lungo termine. È come se in Italia, nel giro di pochi anni, più di tre milioni di persone lasciassero il Paese.
Sono questi gli effetti taumaturgici dell’austerità? O siamo piuttosto di fronte a un disastroso «insuccesso lettone»? Ce lo spiega Mark Weisbrot, co-direttore del Centre for economic and policy reserch (Cepr) ed uno dei maggiori economisti americani ad aver appoggiato Occupy Wall Street. «Se questo lo chiamano successo, forse i governi dell’eurozona dovrebbero iniziare a pensare che cosa la troika considera un fallimento. Oltretutto la crescita registrata nel 2011 è figlia della disobbedienza ai diktat del Fmi. Riga aveva promesso un grande taglio lineare alla spesa pubblica nel 2010 ma non l’ha fatto. Certo, i lettoni hanno avuto qualche aiuto da un’inflazione inattesa che ha dato loro una politica monetaria più espansiva di quanto avessero previsto e ridotto la crescita del loro debito pubblico. E hanno anche avuto un sacco di soldi da parte delle autorità europee, che volevano essere sicure di non svalutare la loro moneta, in quanto ciò avrebbe lasciato le banche svedesi con grandi perdite. Ma tutto questo non fa altro che rafforzare l’opinione che le politiche di austerità siano inutili e fallimentari».
C’è pure un altro fatto da tenere in considerazione, che gli ultras dell’austerità omettono sistematicamente ogniqualvolta parlano della Lettonia come esempio virtuoso da esportare nell’Europa mediterranea. La crisi finanziaria che ha portato il paese baltico sull’orlo della bancarotta non è stata causata dalla crisi del debito sovrano (19,5% del Pil nel 2008) ma dalla nazionalizzazione, sul finire del 2008, della seconda banca del Paese, la Parex Bank.
È qui che si incastra la storia di John Christmas. Padre americano, madre lettone, doppia cittadinanza, ha lavorato negli anni ’90 come banchiere alla Corus Bank di Chicago e alla M&T Bank di Buffalo. Nel 1998 decide di trasferirsi in Lettonia e inizia a collaborare con la Camera di commercio americana e britannica. Nel 2002 entra in contatto con Parex Bank che gli affida il compito di guidare il gruppo per le relazioni internazionali. «Quando mi hanno offerto l’incarico – ci confida Christmas – mi hanno detto che la banca aveva bisogno di una figura come la mia: occidentale e con un background economico-finanziario, capace di ribaltare la reputazione dell’istituto di credito agli occhi degli investitori esteri».
Che la reputazione di Parex Bank fosse poco lusinghiera lo avrebbe scoperto di lì a poco, quando nel 2004-2005 è lui stesso a fornire alla procura generale certe informazioni su attività illecite che riguardano la banca per cui lavora. Per chi ancora non ne fosse a conoscenza, la Lettonia è il “supermercato offshore” dell’ex impero sovietico. Cipro a confronto sembra una bottega di quartiere. Delle 21 banche registrate, 16 sono “boutique” specializzate nell’offshore banking. Non è un caso se da queste parti gli oligarchi sono di casa (Parex Bank è stata fondata da due russi) e la mafia russa e ucraina hanno gioco facile quando si tratta di ripulire denaro sporco. Dopo la procura generale, Christmas informa anche il governo lettone, Ernst&Young (agenzia di revisione contabile) e la Financial service authority britannica (Fsa). Non succede un bel niente. Anzi, nel 2005 Christmas lascia la Lettonia per le continue minacce di morte ricevute. Ma il nostro whistleblower (nella cultura anglosassone è un individuo che denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità attività illecite o fraudolente all’interno del governo, di un’organizzazione pubblica o privata o di un’azienda) continua dritto per la sua strada.
Arriviamo così al 2008, l’anno in cui Parex Bank viene nazionalizzata dal governo di Ivars Godmanis. Per fare questo la Lettonia chiede in prestito a Fmi, Ue e Banca mondiale 7,5 miliardi di euro (il 40% del Pil lettone). Il prestito viene elargito e la piccola repubblica baltica diventa la cavia per la sperimentazione delle politiche di austerità. Ma perché il governo lettone ha deciso di salvare una banca la cui maggioranza dei depositi era offshore? Poteva benissimo garantire solo i depositi correnti dei propri cittadini, ma non l’ha fatto, facendo esplodere la rabbia dei lettoni, che hanno preso d’assalto gli sportelli della banca e costretto Goldmanis alle dimissioni. Ma c’è di più. Nel 2009 la Bers decide di comprare 106 milioni di euro in azioni della nuova banca (nel frattempo diventata Citadele). «Ho cercato in tutti i modi di incontrare i managers di Bers – spiega Christmas – e metterli al corrente del rischio che correvano nell’investire in una banca come Parex, ma non ho mai avuto risposta».
In quello stesso anno Lato Lapsa, un giornalista indipendente lettone, anche lui espatriato perché minacciato di morte, mette on line un report segreto commissionato dal governo alla banca d’affari Nomura. In questo report si scopre che la Bers ha una put-option per vendere le azioni comprate al governo lettone nel 2014, con un profitto del 22%. La put option è uno strumento di finanza derivata di carattere speculativo. In questo modo la Bers avrebbe mascherato un prestito con interessi attraverso l’acquisto di azioni. Per quale motivo la Bers ha fatto questo tipo di operazione? Perchè non ha smentito le accuse a lei rivolte da Christmas? Perché gli organi di controllo pubblici e privati pur essendo a conoscenza dell’intera faccenda non sono intervenuti? È anche vero che la Bers può agire come banca commerciale a tutti gli effetti e che quindi può stipulare put-option come e dove vuole. E allora perché non ha reso pubblica la cosa? Ritiene etico la Bers che una istituzione comunitaria creata con i soldi dei contribuenti europei si metta a fare speculazione finanziaria a scapito dei suoi stessi azionisti? A cosa serviranno i soldi ricavati con gli interessi della put-option? Abbiamo provato a contattare la Bers via e-mail e per telefono, ma a tutt’oggi non è arrivata nessuna risposta.