«Una zona rossa ovunque si trovi è una questione nazionale». La macchina fotografica si posa subito su un gigantesco arazzo colorato e ricamato sospeso sulle pareti di piazza del Duomo di l’Aquila. Qui c’è un incontro organizzato dall’associazione delle donne aquilane «Terre-mutate» da poco fondata che ha a cuore la costruzione di una Casa delle Donne. Un progetto che nasce all’Aquila dopo il sisma che l’ha colpita nel 2009. Non un semplice centro antiviolenza, ma un luogo di ritrovo, dove abitare e incontrarsi. Un posto dove parlare e proporre una visione del genere facendo «casa», agendo sul territorio in maniera autonoma e autogestita. Parlando e andando oltre la violenza contro le donne.

«La nostra Casa delle donne è un progetto che contiene un sogno, ma anche una visione politica e sociale. E’ un luogo per costruire una nuova trama di relazioni nel cuore del centro storico. Rappresenta la bellezza che vogliamo ri-costruire per salvare il nostro mondo dal caos»- scrivono le donne aquilane nel loro appello lanciato sul web.
Un appello che ha richiamato per due giorni donne, gruppi, associazioni femminili e femministe da tutto il territorio nazionale. «Ogni donna arriva e arrivava con la storia della propria vita da noi con uno stato d’animo alterato – racconta Simona Giannangeli del comitato di presidenza dell’associazione Terre-mutate, composto da quindici socie fondatrici – Non ci siamo mai fermate. Anche durante la fase di emergenza post-terremoto ci siamo occupate delle donne che magari prima aveva deciso di separarsi, andar via, ma poi sono state costrette a ritrovarsi nella stessa tenda con l’uomo o il parente violento. Perché le tende sono state assegnate secondo un nucleo familiare». «E’ vero, abbiamo fatto assistenza ovunque fosse stato possibile, alle fermate degli autobus, nei pub» spiega Valentina Valleriani dell’associazione aquilana e attiva anche tra le Donne in Nero.

[do action=”citazione”]Nel 2009 il governo Berlusconi promise alle aquilane 3 milioni per un centro antiviolenza ma i fondi sono spariti[/do]

«Prima del terremoto non c’era una casa delle donne all’Aquila – racconta Loretta del Papa, anche lei membro del comitato di presidenza dell’associazione- c’erano una biblioteca e un centro antiviolenza nel palazzo dell’Aied localizzato nella zona rossa, ma poi l’esigenza di avere un luogo più ampio per le donne è aumentata e quindi abbiamo pensato di voler lanciare questo progetto e costruire una casa per tutte».
Così nel 2010 nasce il progetto della Casa per l’iniziativa della Biblioteca delle Donne, del Centro antiviolenza, delle Donne in nero e la rivista Leggendaria. Si forma un comitato che promuove già un incontro nazionale per maggio 2011, da questo incontro a cui parteciparono 600 persone poi è stata scritta una carta degli intenti che ha dato forma all’associazione odierna di queste donne aquilane, forti e coraggiose che sono ripartite dalle macerie per aiutare se stesse e le altre.

Perché non basta più osservare, ascoltare il dolore delle altre, bisogna condividerlo, accoglierlo e andare oltre. Sognare e svegliarsi per creare un’altra via. Se serve smantellare quello che non funziona più, rivedere i modi di avere i rapporti con il maschile e ricominciare insieme o da sole, altrove – raccontano le donne aquilane.
Al di là del muro di cemento armato della violenza sulle donne.

«Dentro questa casa ci immaginiamo una biblioteca delle donne, un osservatorio contro le guerre, e tante stanze sicure per le donne che hanno bisogno di un posto dove stare, un luogo per avere un confronto anche a livello nazionale sulle questioni femminili di patrimonio comune, per andare oltre la riparazione – spiega Simona Giannangeli – avvocata già minacciata per il suo ruolo di legale del centro antiviolenza .
«Questo si chiama puntellamento a tubo giunto – dice Maria Chiara Specchio- un’architetta che ci fa entrare nella zona rossa in una casa antica del centro storico -. E’ stato fatto all’interno e all’esterno delle case per far reggere le strutture portanti».
«La costruzione della casa per le donne è una buona iniziativa dice poi Maria Chiara, certo c’è tantissimo lavoro da fare qui, ma il problema sono i soldi, i finanziamenti. Il grosso problema è che sul terremoto dell’Aquila c’è stata una speculazione politica e anche se le abitazioni del progetto C.A.S. E. sono state costruite in fretta adesso c’è tutto il centro da ricostruire. Vivere ogni giorno e guardare queste case vuote è difficile, doloroso».

«Follow the money» per l’appunto. Le donne aquilane si chiedono dove sono finiti quei fondi promessi nel 2009 ribattezzati poi Fondi Carfagna e sui quali l’ex Ministro Fabrizio Barca aveva fatto un’inchiesta. Si tratta di 3 Milioni di Euro stanziati per rafforzare i centri di antiviolenza a l’Aquila ma che poi sono diventati fondi diretti ai centri di accoglienza e di ascolto e di aiuto per le madri in difficoltà. Secondo Sara Vegni di Action Aid – che ha realizzato un rapporto sulla questione «una parte di questi fondi erano stati assegnati alla Diocesi Aquilana per un progetto che poi è stato bocciato perché prevedeva il completamento di un immobile a Pescara – fuori dall’area colpita dal sisma e l’altra parte è ancora in mano alla consigliera regionale di parità Letizia Marinelli che ha proposto la realizzazione di una casa rifugio per donne vittime di violenza e un centro per persone che vivono in condizioni di disagio. Ma ancora oggi non è stato emesso nessun bando né si hanno notizie e non si capisce e perché adesso questi finanziamenti siano rimasti lì a giacere in Regione». Le donne aquilane si sono ribellate e lo hanno definito uno scippo. La buona notizia per loro è che il colpo è andato male e che c’è ancora tempo per usare questi fondi per una giusta opera: come scrivono loro «ricostruire con la bellezza una casa per salvare il nostro mondo dal caos». Da questa tempestosa violenza.