Che Mostra sarà questa numero 75 lo scopriremo tra pochissimo, il programma così come è stato annunciato tra le diverse sezioni è pieno di potenzialità, autori conosciuti, altri più giovani ma già con una loro aura di attrazione, un equilibrio «teorico» che cerca di mantenere il prestigio riconquistato a Hollywood – gli americani fino a non molto tempo fa sul Lido preferivano non venire – che gli Oscar ai film in selezione negli ultimi anni hanno rafforzato; incursioni in quel cinema Usa più indipendente come sono i film di Wiseman (Monrovia, Indiana), Errol Morris (American Dharma), Ron Mann (Carmine Street Guitars) e una generale impronta (ispirazione) autoriale (Gitai, Nemes, Audiard, Martone, Naderi Valeria Bruni Tedeschi ) nelle sue declinazioni più diverse.

Il «caso» Netflix tanto discusso a Cannes – vista la finestra ampia francese di sfruttamento dei film in tv – a Venezia non esiste (la regolamentazione italiana è molto diversa), il che permette di vedere il nuovo film di Cuaron, Roma (il titolo prende il nome da un quartiere di Città del Messico) o l’incompiuto Orson Welles, The Other Side of the Wind.
C’è già chi guarda alla selezione del Festival di Toronto – dove peraltro andranno tutti i film veneziani – dicendo: «Eh ma Steve McQueen, Claire Denis Michael Moore, Xavier Dolan …» senza considerare che il «destino» festivaliero di un film viene determinato da strategie di mercato (distributori internazionali, calendari ecc.) su cui spesso i desideri dei programmatori di un festival cozzano – e questo vale per tutti non solo per gli americani – e che dunque ottenere un titolo è frutto di molte contrattazioni rispetto alle quali la solidità della Mostra si rivela sin dall’apertura, il nuovo film di Damien Chazelle, che torna a inaugurare il Festival mercoledì prossimo – sarà anche un po’ di scaramanzia visto il successo planetario Oscar incluso di La La Land due anni fa – con First Man in cui ritrova anche Ryan Gosling per il ruolo di Neil Armstrong, il primo uomo a camminare luna.

Una leggenda lui e quella navicella, l’Apollo 11, che il 20 luglio del 1969 atterrò finalmente sul suolo lunare battendo i sovietici – la Guerra Fredda aveva coinvolto anche lo spazio. Che poi Kubrick ci abbia detto che le immagini mostrate al mondo con lo stupore di una nuova infanzia, a incantare un Paese negli anni della guerra in Vietnam e delle battaglie, fossero state create in studio (e c’è pure chi dice che l’allunaggio fu tutta una invenzione) è stata una delusione ma fino a un certo punto La luna è sempre lì, gialla splendente, rossa quando danza con Marte, e in fondo proprio Kubrick ci aveva già detto nella sua Odissea che il futuro non esiste.

Dakota Johnson in «Suspiria» di Luca Guadagnino

La mostra dunque, anche quest’anno con la VR sull’Isola del Lazzaretto – magnifica, merita un passaggio – i suoi riti, le sue abitudini. Due gli eventi imperdibili del programma, intorno ai quali si concentra una possibile cartografia del cinema: I diari di Angela di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi e Suspiria di Luca Guadagnino.
Due film, anzi due universi, radicalmente diversi la cui scia comune è comunque un’idea del cinema che rivendica – dolcemente, senza proclami né retorica – la propria singolarità.
Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono due artisti, li amano nel mondo, in Italia sono più segreti, la loro opera che attraverso gli archivi – i propri, quelli cercati nel mondo, gli acquerelli di Angela, i viaggi, il lavoro sui fotogrammi – ripercorre il Novecento, i suoi traumi, le ferite per raccontarci il presente.

E questo sguardo per svelare quanto di attuale c’è nella Storia, e nella sua rappresentazione, continua a interrogare lavoro dopo lavoro le immagini scoprendo, a ogni passaggio un nuovo dettaglio, una possibilità. I diari di Angela – Noi due cineasti parla di Angela Ricci Lucchi, che non c’è più, è la storia di una vita e di una fare (cinema) insieme come scoperta e passione e cura.
Suspiria è il «remake» del film di Dario Argento ma conoscendo Guadagnino sappiamo che non sarà così, anche perché quel film non è riproducibile (benjaminamente), sbilenco e scassato è il mondo di Argento, il suo immaginario, è il 77 lisergico e rivoluzionario, le cui inquietudini di una «fine» annunciata balenano tra le crepe del rosso tovoliano.

Ci vuole coraggio per farlo oggi, e intelligenza, che Guadagnino ha insieme (la cosa più importante) il talento del cinema. Che lo mette sempre altrove, anche quando fa un film che piace a tutti (Call Me by Your Name), ha un successo planetario, conquista l’America (e un Oscar) il suo è un cinema « singolare», in costante ricerca, irrequieto e mai appagato, pronto a mettersi alla prova (con durissimo e raffinato allenamento) come in una jam session.
Questo porsi nell’indipendenza (Gianikian e Ricci Lucchi) o nel mercato (Guadagnino) è il punto di partenza per pensare il cinema oggi, quello che verrà e quello che c’è. Per produrre un immaginario vivo, vitale, che sappia dirci del mondo e di noi.