Ci sono moltissimi fumetti che parlano di musica, non solo biografie di cantanti ma proprio un mondo alternativo nel quale i personaggi della finzione hanno veri e propri gusti musicali, un riflesso delle passioni dei vari autori/sceneggiatori. Dylan Dog ne è un fulgido esempio: ogni mese, il curatore della testata, Roberto Recchioni, suggerisce una soundtrack che possa accompagnare la lettura, una sorta di superamento della quarta parete, quella che divide chi legge da chi è letto e, di conseguenza, accendere di suoni il silenzio della lettura. Il rapporto musica e fumetti però ha anche un altro lato, poco affrontato, quello non dell’opera disegnata che si rapporta al mondo delle canzoni, ma il contrario: la musica che parla, cita, si appropria dei vari eroi, antieroi e delle rispettive nemesi su carta stampata. Nel nostro paese la musica di J-Ax, e di riverbero degli ex Articolo 31, è piena di questi omaggi metafumettistici, così come quella dei defunti 883, ma non ci fermeremo in territorio italiano, cercheremo di avere una visione più ampia di un macrocosmo dove i limiti tra un universo e l’altro si fa sottile, invisibile, a tratti indistinguibile.

PIENO BOOM
È il 1969 quando escono tre canzoni che parlano di supereroi. Siamo nel pieno boom delle opere Marvel, quella rivoluzione che ha scosso tutto il mondo dei fumetti e ha svecchiato una concezione superoistica immobile e imbelle che vedeva la concorrente DC Comics, soprattutto nel personaggio di Batman, essere umiliata da brutte serie tv infantili, coloratissime e decerebrate. Con Stan Lee, invece, i «giornaletti» acquistano un potere quasi rivoluzionario, sono mossi non da idee fantacretine ma da un flusso di innovazione mai vissuta prima: si sposta l’asse dall’incredulità delle storie a intrecci non banali con personaggi che vivono con dolore il dono della superiorità genetica. Così Spiderman che, da adolescente sfigatissimo, diviene una celebrità paga il triste dazio del lutto del suo amato zio Ben, causato dalla sua superficialità egocentrica. Di questo ne gode anche la già citata DC che ripensa ai suoi eroi in maniera più matura con Batman che si tramuta, in pochi anni, dal buffone mascherato al cavaliere oscuro di Neil Adams, tornando alla preistoria del personaggio che, grazie a Bob Kane e Bill Finger, lo aveva visto giustiziere dai toni cupi e dark, un antieroe da novelle pulp che non disdegnava l’omicidio come punizione per i crimini.
Tre canzoni, si è detto, nate in quel lontano 1969 che trattano di fumetti, bellissime e a loro modo iconiche nel parlare di un determinato personaggio. Si parte con la classica Plastic Man degli inglesi Kinks, uno tra i gruppi più influenti della British invasion. «A man lives at the corner of the street/And his neighbors think he’s helpful and he’s sweet/’Cause he never swears and he always shakes you by the hand/But no one knows he really is a plastic man/Plastic man, plastic man» (Un uomo vive all’angolo della strada/E i suoi vicini pensano che sia utile ed è dolce/Perché non giura mai e ti stringe sempre la mano/Ma nessuno sa che è davvero un uomo di plastica/Uomo di plastica, uomo di plastica).
Una canzone pop rock dal ritmo scatenato, una probabile hit che si trovò frenata purtroppo dalle maglie della censura della Bbc che trovò i testi troppo violenti. D’altronde si parlava di un uomo di plastica che vive ai margini della società, un uomo comune, forse un senzatetto, che puoi percuotere a piacere, senza che lui subisca danni. Superficialmente ispirata al fumetto DC omonimo, nato nel lontano 1941, che vede un certo Patrick O’Brian (soprannome «Eel», anguilla), ritrovarsi a vivere la vita da supereroe grazie a poteri che lo rendono simile alla plastica, molle e malleabile, ma anche all’occorrenza duro e impenetrabile. Ci sono però interpretazioni più profonde sul significato della canzone che si discosta dal semplice omaggio a un personaggio di fantasia e diventa una vera critica sociale nei confronti della società londinese, racchiusa nel verso «le persone di plastica sembrano uguali», una società volta solo all’apparenza, che tende all’omologazione e diventa aggressiva davanti a chi non rispetta certi canoni. Recentemente si è pensato che il testo fosse specificamente rivolto a Paul McCartney dei Beatles, non visto di buon occhio dal leader della band in seguito a screzi personali, ma nessuno ha mai svelato il vero significato.
I Kinks, nel 1979, in pieno boom della discomusic usciranno con un’altra canzone a tema supereroi, questa volta dai testi più leggeri e meno poetici, (Wish I Could Fly Like) Superman. Racconta il vocalist della band Ray Davies: «Ho sempre ammirato i fumetti di Superman. Sono andato a vedere il film (di Richard Donner) quando è uscito a Natale e ne ero sopraffatto… pensavo che fosse così fedele ai fumetti e volevo scrivere una specie di disco ballabile nonostante odiassi quel tipo di musica. L’abbiamo resa più rock’n’roll e funziona davvero bene». Di contrasto, l’altro Davies, Dave, commentò: «Penso che Superman sia stato, non il più grande errore, ma uno dei più grandi errori che abbiamo fatto. Ricordo di aver avuto contrasti con Ray mentre stavamo registrando il disco, perché non mi piaceva la direzione in cui stava andando. Era un periodo strano per la musica in generale, comunque. Il fatto che fosse una canzone divertente, la salvò. Ma era solo questo».
Superman ispirò negli anni comunque altri artisti, come Johnny «Guitar» Watson, Taylor Swift, Willie Nelson, Donovan, Flaming Lips e Eminem.

IL GIGANTE VERDE
«The Hulk is a monster that is ugly, oversized and green/ His strength is fantastic and his deposition’s/Is mighty mean and whenever people/ see him all they do is run and scream, cause/Nobody loves Tthe Hulk! Nobody loves the Hulk! Nobody loves the Hulk!» (Hulk è un mostro brutto, gigante e verde, la sua forza è micidiale, ogni volta che le persone lo vedono, si mettono a correre e urlare perché nessuno ama Hulk! Nessuno ama Hulk! Nessuno ama Hulk!).
La seconda canzone del 1969 è della band newyorkese, The Traits, garage rock puro, un po’ ingenuo e grezzo, ma orecchiabile e giusto per crescere negli anni come cult. Del gruppo in questione si sa poco o nulla: tutto quello che di buono c’era nasce e muore con Nobody Loves Hulk, brano scritto dall’appassionata di fumetti Rosalind Rognoff e che ebbe una distribuzione per lo meno bizzarra. Il 45 giri fu venduto in 2mila copie, vinile color verde, sponsorizzato proprio all’interno dei fumetti Marvel con la dicitura «It’s hulkerific!», qualunque cosa significasse. D’altronde il gigante dei supereroi era nato nel 1962 e, solo tre anni dopo, un sondaggio all’interno dei campus universitari riportava che, per gli studenti Usa, «Hulk e Spiderman erano icone rivoluzionarie al pari di Che Guevara e Bob Dylan». La canzone, oltre a trasporre in musica le origini dell’energumeno color giada, tentava comunque una sua critica contro il razzismo concludendo: «Non permettiamo che qui non ci siano persone dalla pelle verde». Forse l’unico motivo per il quale Hulk non era amato era appunto una questione etnica!
«I am, I am, I am superman/ And I know what’s happening/I am, I am, I am superman/And I can do anything». (Sono, sono, sono un superuomo e so cosa sta succedendo. Sono, sono, sono un superuomo e posso fare qualsiasi cosa).
Conosciuta soprattutto per la cover dei Rem del 1986, contenuta nell’album Life’s Rich Pageant, una tra le più iconiche canzoni dedicate a Superman nasce grazie alla band texana The Clique, appunto nel 1969. Il gruppo aveva un’impostazione prettamente garage rock e mal considerava questo brano, Superman, definito con sprezzo «pop plasticoso». Il testo era stato scritto da Mitchell Bottler e Gary Zekley, quest’ultimo un autore apprezzato grazie alla collaborazione con artisti di successo come gli Yellow Balloon. Cantare Superman era per i The Clique cedere alla commercializzazione della loro musica, ma anche un modo per farsi ascoltare da un pubblico maggiore: il 45 giri, che sul lato A ha la romantica Shadow of Your Love, è un buon successo e il 33 giri che porta il nome della band, nel giro di qualche mese, diventa il numero 22 delle classifiche Usa.

AL CENTRO
Da ricordare anche Sunshine Superman (1966), storico singolo dello scozzese Donovan, un classico della psichedelia britannica. All’interno si menziona anche Lanterna Verde. E ancora, sempre nello stesso anno, Superman, 45 giri di Dino, Desi & Billy, il gruppo di Dino, figlio di Dean Martin, e di Desi, figlio delle stelle della tv Usa, Desi Arnaz e Lucille Bal. Citiamo anche la bellissima Iron Man dei Black Sabbath (1970) che, malgrado i fan del supereroe vorrebbero ispirata all’omonimo fumetto, in realtà parla di guerra e distruzione, e pone al centro del suo testo un altro uomo di metallo che, deriso dalla sua gente, si tramuterà da salvatore del genere umano a fautore dell’apocalisse.
Finché, nel 1975, arriva Paul: «Well I was talking last night Magneto and Titanium Man. We were talking about you, babe They said you was involved in a robbery» (Beh, stavo parlando ieri sera con Magneto e Titanium Man. Stavamo parlando di te, piccola, hanno detto che eri coinvolta in una rapina). In quell’anno il nuovo gruppo di Paul McCartney, i Wings, canta, infatti, la meravigliosa Magneto and Titanium Man, rock narrativo che non si concentra stavolta sui buoni ma sui poco inflazionati cattivi, tre a discapito del titolo, nemesi degli X-men, degli Avengers e di Iron Man.
Il brano veniva eseguito spesso nel tour 1975/1976, con i tre supermalvagi sullo sfondo nelle versioni disegnate da George Tuska e John Tartaglione per Magneto, da Mike Esposito per The Titanium Man e da Sal Buscema per Crimson Dynamo. Stan Lee (che aveva co-creato tutti e tre i personaggi) ne era entusiasta, d’altronde la canzone è bellissima e riascoltare i cori di Linda McCartney è qualcosa di emotivamente intenso.
Il «tour estero» prosegue citando la meravigliosa Batdance di Prince (1989) («Questa città ha bisogno di un clistere»), l’intimistica Gotham City di R Kelly (1996) incentrata sulla città di Batman, l’acida Ghost Rider dei Suicide (1977), la Spidey’s Curse dei Black Lips (2011) con il suo garage rock rétro, quasi da anni Novanta, l’elettronica e ipnotica Superheroes dei Daft Punk (2001) e, forse la migliore, Batman dei Jam (1977), una scatenata riproposta in chiave ultrabeat della classica sigla del telefilm anni Sessanta dedicato all’uomo pipistrello.
Lo stesso tema e personaggio – sull’onda della storica serie tv Usa del ’66 – verrà omaggiato da una sfilza di artisti: Marketts, Ventures, Peggy Lee, LaVern Baker, gli stessi interpreti tv, Adam West (Batman) e Burt Ward (Robin) – quest’ultimo con Boy Wonder I love You, un pezzo scritto da Frank Zappa – ecc. Anche l’Uomo Ragno godrà di buone fortune.
Imperdibile, a tal proposito, la versione dei Ramones del tema del cartone tv Spider-Man (1967).

UNA TELA TRICOLORE
Nel nostro paese la canzone più classica dedicata ai supereroi è senza dubbio Hanno ucciso l’Uomo Ragno, nonsense pop rock partorito dalla mente dei giovanissimi Max Pezzali e Mauro Repetto nel 1992 con tanto di suoni onomatopeici tipici dei comics come «slam» per una porta che si apre o «bang» per un colpo di pistola.
L’uomo ragno della canzone, un po’ come il futuro album La donna, il sogno, il grande incubo, parla più che di un preciso eroe, del «coming age», il passaggio tra adolescenza e età adulta. Max Pezzali non ha mai negato la sua passione per i fumetti tanto che, oltre a vestirsi nel primo periodo artistico, con la camicia rossa sul modello Dylan Dog, ha scritto una canzone, Ti sento vivere, ispirata a uno degli album più amati dell’indagatore dell’incubo, Il lungo addio, una tra le storie d’amore più struggenti e disperate della letteratura, a fumetti o meno. Dylan Dog però non è citato solo da Max Pezzali, ma è presente in molte canzoni. Claudio Baglioni nel brano Nudo di donna, presente nell’album Io sono qui, in una frase cita l’indagatore dell’incubo: «…me ne uscivo piano dal tuo quadro neanche fosse un Van Gogh con i passi al ritmo di uno scat o di un lento ragtime io chi sono stato il derubato o il ladro Dylan Dog dell’amore del tuo bancomat del tuo numero Hot Line».
Con Le vie dei colori il cantautore romano però fa di più: grazie all’apporto del disegnatore Claudio Villa, copertinista ufficiale all’epoca del fumetto Bonelli, mette in scena un’avventura musical di Dylan Dog che non si limita a citare il personaggio ma lo fa muovere all’interno di una vera storia multitasking, da ascoltare, da leggere o entrambe le cose.
Sempre a questo personaggio è dedicato un verso de La spirale ovale degli Articolo 31: «Mi annoio a morte se mi porti con i tuoi fuori per cena non mi emoziono sugli yacht io colleziono Dylan Dog» e il rapper ligure Sonny Willa intitola appunto Dylan Dog un suo brano all’interno dell’album In bolla, un disperato urlo di rabbia e emarginazione («Ci ho dei mostri nella testa/…/Vorrei esplodesse la Fiumara»).
Anche Ambra Angiolini si immerge nel mondo di Dylan Dog e nel pezzo E muoio canta: «Ci vediamo alle tre verso il centro… a provare dei bluejeans, le camicie dei marines … e la musica rap, Dylan Dog e Take That … è un inferno se tu non ci sei, è l’inverno».
Restiamo sempre in casa Bonelli, ma parliamo di Zagor, uno dei nostri fumetti più venduti, conosciuti e talmente amati, anche fuori dal territorio italiano, da vantare ben due film non ufficiali girati in Turchia (Zagor kara korsan’in hazineleri, ovverosia Zagor-L’oro del Pirata Nero e Zagor kara bela tradotto letteralmente come Zagor-Il guaio nero, entrambi del 1971).
Ligabue dedica all’eroe di Darkwood una canzone, Freddo cane in questa palude («Freddo cane e carne cruda/Coccodrilli a quest’ora cenano/Io non ho con me il fucile ma mi sento come Zagor»), uno dei brani più iconici del primo periodo, quello rock, del cantante emiliano. Anche Jovanotti non ha mai fatto mistero della sua passione per il personaggio creato da Sergio Bonelli sotto lo pseudonimo di Guido Nolitta, tanto da essere il protagonista di una storia divertente e spensierata, Il richiamo della foresta, (soggetto e sceneggiatura Masiero e Burattini), dove avviene l’impossibile: il cantante e l’eroe dei fumetti si incontrano. Un esperimento che avrebbe dovuto aprire altre collaborazioni tra il mondo della musica e quello della Bonelli come ad esempio un annunciato e poi scomparso Dylan Dog incontra Salmo. Per concludere non si possono non citare: Hanno arrestato paperino (1976) di Renato Zero («Qui quo qua lo aspettano da sempre/pregando la sua libertà»), altro brano che, come per Hanno ucciso l’Uomo Ragno, usa un eroe simbolo per parlare di altro, in questo caso la perdita dell’innocenza. E poi La marchetta di Topolino di Caparezza con i personaggi Disney simbolo dell’ipocrisia dell’uomo medio, un popolo «fissato con la moneta come la strega Amelia», che «si fa annullare le multe da Basettoni» e che nella vita cela più di una «Macchia Nera».
E ancora Edoardo Bennato che con la sua Meglio Topolino (1994) afferma di preferire i personaggi dei fumetti a politici, giornalisti e imprenditori senza nessuna moralità. Fumetto (1970) di Lucio Dalla si serviva, invece, di un andamento jazzato citando vari personaggi tra cui Asterix, Nembo Kid, ossia Superman, Charlie Brown, Beep Beep e Braccio di Ferro. Fumetto raggiunse una certa popolarità come sigla del programma tv Gli eroi di cartone, un contenitore pomeridiano di cartoni animati andato in onda negli anni ’70, e condotto nella prima edizione dallo stesso Dalla.
Naturalmente queste non sono le uniche canzoni, ma probabilmente quelle più iconiche. Per tutte le altre, anche bellissime come nel caso di Braccio di Ferro di Samuele Bersani, vale l’assunto di un brano qui escluso sullo stesso tema: Nessuno vuole essere Robin, il numero 2.
Purtroppo, come ci insegna Vincent LeFleur, dimenticato personaggio di Dylan Dog: «È un mondo crudele».