Dopo le rivelazioni del Washington Post la comunità afro-americana e le associazioni per i diritti civili chiedono di boicottare Facebook per avere favorito la disinformazione russa.

Cyber-spionaggio, attacchi alle infrastrutture critiche, disinformazione e propaganda sono gli strumenti di una guerra asimmetrica che ha modificato mezzi e strategie degli Stati-nazione. E per la propaganda che fa perno sulle fake news oggi si parla di «hybression», aggressioni ibride, sponsorizzate dai governi attraverso gli Apt, gruppi di hacker militari o da questi finanziati.

Il Washington Post ha pubblicato lunedì la bozza di un rapporto sul ruolo di Facebook nella campagna di disinformazione condotta dai russi attraverso i social network disseminando foto, video e notizie per favorire l’elezione di Donald Trump.

Il rapporto, richiesto dalla Commissione Intelligence del senato Usa è stato realizzato dal Gruppo di studio sulla propaganda computazionale dell’Università di Oxford e dalla società Graphika e spiega come funzionerebbe la propaganda degli hacker russi coordinati dall’Internet Research Agency (Ira) di San Pietroburgo.

Il modus operandi della «fabbrica di troll» dell’Ira era stato già analizzato, lo avevamo scritto a giugno su queste pagine, e continua ad essere lo stesso: uso di immagini visive e meme, cinismo tossico, attacchi ad personam, ripetizioni per amplificare portata e risonanza di notizie false attingendo a piene mani alla logica propagandistica di Goebbels secondo cui una bugia detta mille volte diventa una verità.

Le evidenze più interessanti dello studio non riguardano tuttavia la capacità di propagandare fake news per modificare il voto degli americani, quanto di polarizzare le loro opinioni su alcuni temi favorevoli al candidato repubblicano e sfavorevoli ai candidati democratici.

La campagna di influenza, come già rilevato almeno un anno fa dall’università di Oxford, avrebbe ottenuto come risultato principale quello di scoraggiare il voto della comunità afroamericana, tradizionalmente più vicina ai democratici.

Per questo motivo il Naacp ha voluto il #LogOutFacebook, un boicottaggio di Facebook, Instagram e WhatsApp nonostante Facebook abbia dichiarato di voler affrontare censure e discriminazioni per mettere i diritti civili al centro dello sviluppo di nuovi prodotti.

Ma la diffusione della disinformazione e l’utilizzo di Facebook per la propaganda che promuove «rappresentazioni disumane della comunità afroamericana» ha indotto il Naacp a restituire una donazione che Facebook gli aveva fatto e altre 31 organizzazioni tra cui il Southern Poverty Law Center e Freedom from Facebook hanno chiesto in una lettera a Mark Zuckerberg e Sheryl Sandberg di dimettersi.

Servirà? Probabilmente no.

I «troll» si muovono da una piattaforma all’altra mentre i singoli social network sviluppano metodi per contenerli. Bharath Ganesh della Oxford University ha affermato che i troll si «mescoleranno» ai gruppi di attivisti critici verso Stati Uniti e istituzioni per amplificare le loro voci.

Invece di generare contenuti propri per allargare divisioni sociali e politiche, condivideranno, ritwitteranno e si impegneranno in altro modo a diffondere contenuti genuini che si allineino coi loro obiettivi, falsandone la portata. E rendendo più difficile individuare la manipolazione dei messaggi diffusi da utenti reali, spesso frutto di rabbia e percezioni fallaci resistenti a fatti e statistiche.

Come dice lo storico ebreo Yuval Noah Harari nel suo 21 lezioni per il XXI secolo (Bompiani, 2018), non esiste soluzione al problema dei pregiudizi umani che non sia la conoscenza. La razionalità è un mito e il pensiero di gruppo più potente di qualsiasi verifica. Ci abbiamo costruito sopra ideologie politiche e religioni millenarie.