Una brutta sentenza contro gli operai Fca
Lesa maestà Una brutta sentenza. Anzitutto, per la “continenza” - concetto peraltro caro alla stessa Corte - con cui si mette la mordacchia alla libertà di espressione. Ancora, per la personalizzazione sul diritto individuale dell’amministratore delegato, ovviamente invece simbolo espressivo di una politica aziendale. Infine, per la ritenuta idoneità della espressione del pensiero, non accompagnata da alcun atto di violenza, a evocare uno «scontro sanguinario», tale da travalicare i limiti della «democratica convivenza civile»
Lesa maestà Una brutta sentenza. Anzitutto, per la “continenza” - concetto peraltro caro alla stessa Corte - con cui si mette la mordacchia alla libertà di espressione. Ancora, per la personalizzazione sul diritto individuale dell’amministratore delegato, ovviamente invece simbolo espressivo di una politica aziendale. Infine, per la ritenuta idoneità della espressione del pensiero, non accompagnata da alcun atto di violenza, a evocare uno «scontro sanguinario», tale da travalicare i limiti della «democratica convivenza civile»
È stata depositata il 6 giugno 2018 la sentenza 14527/18 con cui la Cassazione ha accolto il ricorso FCA contro la Corte di appello, che aveva disposto la reintegrazione nel posto di lavoro di cinque operai licenziati per aver inscenato l’impiccagione e il funerale di Marchionne. Il contesto era dato dalla protesta per il suicidio di alcuni lavoratori addebitato a scelte aziendali. Con la pronuncia della Cassazione diventa definitivo il licenziamento degli operai.
La Corte di appello aveva accolto il ricorso contro il licenziamento, in specie considerando la rappresentazione scenica, ancorché nella forma di satira particolarmente incisiva, come espressione di un diritto di critica e di manifestazione del pensiero. La Cassazione ha invece affermato che “la rappresentazione scenica … ha esorbitato dai limiti della continenza formale attribuendo all’amministratore delegato qualità riprovevoli e moralmente disonorevoli … travalicando, dunque, il limite della tutela della persona umana richiesto dall’art. 2 della Costituzione … “ e “i limiti di rispetto della democratica convivenza civile, mediante offese gratuite, spostando una dialettica sindacale … su un piano di non ritorno che evoca uno scontro violento e sanguinario, fine a se stesso, senza alcun interesse ad un confronto con la controparte, annichilita nella propria dignità di contraddittore”.
Una brutta sentenza. Anzitutto, per la “continenza” – concetto peraltro caro alla stessa Corte – con cui si mette la mordacchia alla libertà di espressione. Ancora, per la personalizzazione sul diritto individuale dell’amministratore delegato, ovviamente invece simbolo espressivo di una politica aziendale. Infine, per la ritenuta idoneità della espressione del pensiero, non accompagnata da alcun atto di violenza. a evocare uno “scontro sanguinario”, tale da travalicare i limiti della “democratica convivenza civile”.
Ne viene che il lavoratore può ben lottare per i propri diritti, ma sempre dando il dovuto rispetto al padrone, anche in effigie. Guai ad annichilirlo nella sua dignità di contraddittore. Come se poi fosse mai davvero possibile verso il soggetto forte del rapporto contrattuale. Qui alla morte finta del padrone si dà maggior peso che alla morte vera del lavoratore. E suscita solo ilarità l’idea che nella specie la dignità personale e la reputazione di Marchionne siano state in concreto lese.
Per fortuna c’è un vasto mondo oltre la Cassazione. Da ultimo, la Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato la Spagna per la sanzione penale inflitta dai giudici spagnoli, e assolta da ogni censura dal giudice costituzionale, a due dimostranti che avevano incendiato una fotografia dei reali a testa in giù nell’ambito di una manifestazione contro la monarchia (Stern Taulats et Roura Capellera c. Espagne, Sez. III, 13 marzo 2018). La condanna della CEDU è stata motivata con la violazione dell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che protegge la libertà di espressione. Non è, del resto, la prima volta: v. in specie Otegi Mondragon v. Spain, Sez. III, 15 marzo 2011 . E va anche ricordata la trentennale battaglia negli Stati Uniti, a partire dal landmark case Texas v. Johnson, 491 U.S. 397 (1989), sul dare fuoco alla bandiera americana come libertà di espressione.
La Cassazione ci insegna che la difesa dei diritti e delle libertà non può essere subappaltata in via esclusiva alla magistratura. In passato il contributo dei giudici è stato talvolta rilevante, come ad esempio per la fecondazione assistita, le unioni tra persone del medesimo sesso, il fine vita. Ma non è così da ultimo per il lavoro, come dimostrano questa sentenza e altre sui licenziamenti economici e disciplinari. La magistratura nel suo complesso rispecchia il paese, e subisce anch’essa l’impatto di una deriva di destra. Rimane dunque indispensabile la battaglia politica e culturale di sinistra, individuale o collettiva, di testimonianza o di lotta. Ed è urgente ritrovare la difesa senza se e senza ma dei diritti del lavoro, al di fuori di mosse poco più che di immagine come il cd decreto dignità.
Se dipendesse da sentenze come quella del 6 giugno, potremmo anche tornare alla prima rivoluzione industriale e alle sweatshops, consegnate alla storia dalle lotte dei lavoratori. Se talvolta è mancato il dovuto rispetto per i padroni, ce ne scusiamo.
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