Oggi il governo compie un anno. O meglio lo compirebbe se ci fosse ma al momento non è così. È possibile che per lunedì, quando il premier ammutolito dalla notte delle elezioni europee promette di «parlare al Paese», un esecutivo più o meno rattoppato ci sia di nuovo, che un fragile nuovo patto tra Lega e M5S sia pronto. Ma per ora, in una delle giornate più nere per l’economia italiana, al posto del governo ci sono gruppi e potentati che vanno ognuno per sé e neppure comunicano più.

IL GIALLO della risposta del Mef alla commissione europea dice questo, al di là dei contenuti effettivi della versione finale della lettera, che in serata, ieri, non era ancora pronta. Quando nel pomeriggio ha iniziato a circolare la bozza di quel testo, Di Maio ha visto rosso ed è sbottato: «Se questa è la lettera per oggi non parte. Urge vertice con Conte, Tria e la Lega prima di procedere». Il Mef ha smentito: non è la vera lettera. Conte ha rincarato: «La lettera del Mef è appena arrivata e quindi non è ancora stata approvata. Peraltro la versione anticipata non è quella in visione». Il caso è tanto grave che premier e ministro concordano telefonicamente «tutte le verifiche anche giudiziarie» per individuare la fonte della fuga di notizie. La paura di «ricadute negative sui mercati» è massima. Il capo dello Stato assiste allo spettacolo di un governo e di una maggioranza che si dissolvono con altrettanto elevata preoccupazione.

Il vero punto dolente, infatti, non è la fuga di notizie, pur grave. È che quella bozza era stata messa nero su bianco davvero, probabilmente come testo provvisorio da emendare poi con il premier e con i partiti ma partendo da una base che ne condizionasse e ne limitasse i capricci. Dopo aver contestato puntigliosamente, come previsto, i dati della commissione, prometteva tagli al welfare, sforbiciate al reddito di cittadinanza e a quota 100, ma più al primo che alla seconda, e flat tax fatta non in deficit e comunque senza aumento dell’Iva.

Anche se i 5S si dicono «sicuri che la Lega non voglia tagliare il welfare per finanziare la flat tax», il sospetto dei pentastellati è invece proprio che, in tutto o in parte, dietro la bozza ci sia lo zampino della Lega, che il giorno prima aveva passato ore a discutere della risposta da dare alla Ue nello studio di Tria. Il silenzio del Carroccio, che mentre i soci strepitano non fiata e si limita a far sapere che il vertice reclamato da Di Maio «non è concordato», non tranquillizza certo la squadra di Di Maio.

Del resto, piove sul bagnato. Lo sgambetto a sorpresa di Salvini, che giovedì aveva annunciato la riscrittura del decreto Sblocca Italia in discussione al senato senza avvertire né loro né Conte, ha portato sia la diffidenza che l’irritazione degli alleati al limite e oltre. La parola d’ordine è quella di non arrendersi alle pretese di Salvini e resistere. Ma ormai il sentimento dominante tra i 5S nei confronti dei leghisti, del resto ricambiato, va molto oltre l’ostilità. Conte, personalmente umiliato dalla mossa leghista, prova a reagire: «Gli emendamenti governativi non partono da un partito. Devono arrivare qui, a palazzo Chigi». Ma palazzo Chigi, dalla notte della sberla elettorale, è un deserto. Il Consiglio dei ministri continua a non essere convocato. Il vertice che dovrebbe prepararlo neppure. Tutti sanno che quello potrebbe essere l’appuntamento fatale.

LA STRATEGIA dei 5S sembra essere quella di un cedimento temperato. Ieri, mentre Salvini insisteva sulla richiesta di portare la flat tax già al fantomatico prossimo Consiglio e ordinava di varare entro giugno le autonomie, almeno a livello di governo, per poi passarle alle camere, le solite fonti anonime dell’M5S, rimangiandosi quanto asserito in campagna elettorale, annunciavano la disponibilità a varare la flat tax in deficit. Però non sino al tetto di 50mila euro per famiglia, come da progetto leghista, ma sino a 65mila. Nello stesso momento o quasi, però, era proprio Conte a frenare sulla flat tax in deficit: «Non c’è ancora alcun progetto».

E la bozza di risposta alla Ue «rubata» al Mef sembra dimostrare che lo stesso Tria non sia affatto convinto. Il particolare è doppiamente importante: perché il ministro dell’Economia è lui ma anche perché il semaforo verde dei 5S è condizionato all’assenso di Tria.

In campo insomma non ci sono solo le truppe gialle e quelle verdi. Conte e Tria si muovono in relativa autonomia, e devono tenere conto della tempesta in corso: delle previsioni funeree di Bankitalia, dei dati desolanti Istat, della nuova mareggiata sui mercati. Forse lunedì il governo riuscirà a trovare una parvenza di coesione. Ma come possa in queste condizioni affrontare una manovra le cui dimensioni sono ormai difficili anche solo da calcolare è un mistero per tutti.