Due giorni dopo le spaventose deflagrazioni che hanno ridotto in macerie una parte di Beirut, nuovi particolari si aggiungono alla vicenda della Rhosus, la nave battente bandiera della Moldavia che fece una sosta per problemi tecnici nel porto di Beirut nel settembre 2013 e fu ribattezzata «la bomba galleggiante» per il suo carico di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, sostanza utilizzata per i fertilizzanti e, anche, per gli esplosivi ad alta potenza. Le autorità libanesi poi le impedirono di lasciare il porto ritenendola non idonea a proseguire il viaggio verso l’Africa meridionale con a bordo un carico tanto pericoloso. Il nitrato di ammonio dieci mesi dopo fu sequestrato, scaricato e immagazzinato senza le giuste precauzioni nell’Hanger 12. Sei anni dopo si sono visti i risultati drammatici di quella decisione scellerata.

 

E’ stato un incidente, le autorità libanesi lo ripetono da martedì sera e i suoi responsabili, assicurano, saranno puniti severamente. Invece esperti veri e presunti si affannano a spiegare che il tipo di esplosione non è compatibile con una causata da nitrato di ammonio. E, aggiungono, dentro il deposito saltato in aria c’erano in realtà armi ed esplosivi. Sui social, in Libano come nel resto della regione e in Occidente, alcuni teorizzano l’esistenza al porto di Beirut di un deposito di missili e armi appartenente al movimento sciita libanese Hezbollah, colpito martedì da un missile sganciato da un aereo (di Israele?). Il nitrato di ammonio della Rhosus, ipotizzano, sarebbe stato sequestrato allo scopo di essere usato in Libano per produrre esplosivi. Questa tesi non si può escludere del tutto ma è poco plausibile: Hezbollah non poteva tenere esplosivi ed armi in grande quantità in un luogo così facile da individuare e da colpire.

 

Il movimento sciita libanese, alleato di Siria e Iran, è al centro negli ultimi mesi di attacchi, pressioni e sanzioni Usa volte a costringerlo ad abbandonare Damasco e a rinunciare al governo. Sarebbero i primi passi verso il suo isolamento e, nei desideri degli avversari locali e internazionali, lo scioglimento della sua ala combattente. L’esplosione al porto di Beirut rischia perciò di innescare a sua volta una deflagrazione nel quadro politico libanese dalle conseguenze imprevedibili. Non basta ad allentare la tensione interna l’annuncio che non sarà comunicato domani bensì il 18 agosto il verdetto del Tribunale Speciale per il Libano sull’assassinio del premier Rafik Hariri, nel febbraio 2005, di cui la procura considera responsabili cinque militanti di Hezbollah (uno è morto nel 2016).

 

Il movimento sciita viene accusato dai suoi avversari libanesi, così come da Usa e Francia, di essere la causa del disastro economico, politico e sociale in cui è stretto il paese dei cedri. Senza dubbio anche Hezbollah ha responsabilità importanti ma il fallimento economico libanese ha origini lontane, che risalgono alla gestione amministrativa di Rafik Hariri che aveva favorito pesanti speculazioni finanziarie. Eppure i partiti libanesi alleati di Usa e Francia puntano il dito contro Hezbollah sull’onda delle proteste popolari in corso dallo scorso ottobre contro malgoverno e corruzione. Al leader sciita  Hassan Nasrallah è invece rimproverato di impedire al paese di trovate l’intesa sui 20 miliardi di dollari promessi dal Fondo monetario internazionale poiché non rinuncia all’alleanza con Damasco e non cessa il confronto con Israele, «alimentando» così le ritorsioni dell’Amministrazione Usa, come il Caesar Act, sanzioni che prendono di mira la Siria e che colpiscono duramente anche il Libano.

 

La «neutralità» è il nuovo fronte del conflitto politico libanese. La sostiene con forza il patriarca maronita Bechara Rai. Solo abbandonando l’alleanza con Damasco e Tehran e disarmando Hezbollah, il Libano riceverà gli aiuti internazionali, spiegano esponenti politici e media che stanno con il cardinale. «Si scrive neutralità, si legge alleanza con Washington e Parigi», replicano coloro che appoggiano Hezbollah che, da parte sua, denuncia il «ricatto internazionale» e descrive la proposta di Rai come «una resa totale» a Usa, Israele e i loro alleati.

 

Oggi arriva a Beirut il presidente francese Macron. Si dubita che voglia solo esprimere cordoglio ai libanesi colpiti dall’esplosione di martedì. Macron verrà anche a ribadire che senza l’uscita di Hezbollah dal governo, i donatori internazionali terranno congelati gli 11 miliardi di dollari promessi al Libano nel 2018. «Indipendentemente dal fatto che si sia trattato di un incidente derivante dalla negligenza del governo libanese o se sia stato istigato da un attore esterno, Hezbollah sarà incolpato di quanto è accaduto», prevedeva ieri, con malcelata soddisfazione, il quotidiano saudita Arabnews.