La ragazza guarda il mare, dove non c’è niente in vista: «Il futuro è oltre l’orizzonte», spiega la Olt Offshore Lng Toscana nella sua immagine pubblicitaria. Il «futuro» è il rigassificatore galleggiante di Gnl (gas naturale liquefatto), giunto ieri dal Dubai per essere ormeggiato fuori vista a 22 km dalla costa tra Pisa e Livorno, dove inizierà l’attività commerciale in autunno. La nave, frutto della conversione di una gasiera norvegese, è lunga quasi 300 metri (tre campi da calcio), larga 50 e alta 26 sulla linea di galleggiamento. Contiene quattro enormi serbatoi sferici con una capacità di oltre 137 mila metri cubi. Qui sarà travasato dalle navi gasiere (ciascuna con capacità di 65-155 mila metri cubi) il Gnl raffreddato a -160° C (per ridurne il volume di 600 volte), che sarà riportato allo stato gassoso, utilizzando il calore dell’acqua del mare, e trasportato a terra attraverso un gasdotto sottomarino di 30 km.
Il progetto, promosso dalle amministrazioni di Pisa e Livorno e sostenuto dalla Regione Toscana (tutte a guida Pd), avrebbe dovuto essere realizzato dalla Olt Energy Toscana, società formata dagli enti locali. Ma, dopo varie metamorfosi, esso è passato nelle mani di una multinazionale, dominata da due gruppi che detengono il 93,5% del capitale: E.On, quotato alla Borsa di Francoforte, uno dei più grandi gruppi energetici privati del mondo, con 70mila dipendenti in Europa e Nord America e un fatturato annuo di oltre 130 miliardi di euro; il gruppo Iren, multiutility energetica quotata alla Borsa Italiana, strutturata in una holding cui fanno capo diverse società responsabili delle linee di business. Una quota minore è detenuta dalla norvegese Golar Lng, società del gruppo Fredriksen, proprietario della più grande flotta di petroliere al mondo.
La Olt Offshore Lng Toscana, quindi, non è più la società che ha originariamente presentato il progetto, relegata ai margini con appena il 3,5% del capitale, ma una multinazionale che persegue una strategia globale. A differenza dei gasdotti, che comportano accordi intergovernativi pluriennali, i rigassificatori permettono alle multinazionali di muoversi liberamente per procurarsi la materia prima là dove si può ottenere ai prezzi più bassi, anche sottobanco, in paesi spesso dominati da élite corrotte e dittature militari. Come spiegano i portavoce della Olt, «la tendenza non è più quella di sottoscrivere contratti di lungo periodo, bensì spot», ossia contratti a breve termine, che sono «più profittevoli».
La ricaduta sul territorio di un volume d’affari di 400 milioni di euro in vent’anni e la creazione di 125 posti di lavoro (solo 25 per assunzione diretta, gli altri nell’indotto), promesse dalla Olt, sono solo le briciole dei profitti che la multinazionale realizzerà. Il rigassificatore, a pieno regime, ha una capacità produttiva annua di 3,7 miliardi di metri cubi. Se le vendite dovessero essere inferiori a quelle previste, a causa della crisi e dell’abbondante offerta di gas sul mercato, è pronto il paracadute: un rimborso fino al 71%, previsto dal Tar Lombardia, addebitato sulle nostre bollette.
Dati gli interessi in gioco, non c’è da stupirsi che la Olt abbia ottenuto tutte le certificazioni sul rispetto dell’ambiente e la sicurezza, a dispetto dei fatti. Il rigassificatore pomperà ogni giorno centinaia di milioni di litri d’acqua, che sarà rigettata in mare più fredda e con aggiunta di cloro, danneggiando il Santuario dei Cetacei (come denuncia Greenpeace). Non è stata ancora sperimentata l’affidabilità di questo tipo di rigassificatore che, ancorato tramite la prua a una torretta, ruota a 360° a seconda del vento e del moto ondoso mentre con quattro bracci mobili pompa Gnl dalla nave gasiera. Essendo priva di motore, la nave deve essere assistita da rimorchiatori.
Secondo Piero Angela (La sfida del secolo: Energia, Mondadori 2007), quello a una nave gasiera contenente 125 mila metri cubi di Gnl sarebbe «l’incidente più catastrofico immaginabile»: il gas freddissimo, a contatto con l’acqua di mare più calda, inizierebbe a evaporare formando una nube che, mescolandosi con l’aria, creerebbe una miscela esplosiva; se, spinta dal vento, essa investisse una città, qualsiasi scintilla la farebbe esplodere, liberando una potenza di circa un megaton (un milione di tonnellate di tritolo), «nell’ordine di potenza distruttiva delle bombe atomiche».
Per prevenire incidenti, la Capitaneria di porto di Livorno ha stabilito attorno al rigassificatore galleggiante una zona d’interdizione totale alla navigazione, con raggio di 2 miglia nautiche, circondata da una zona di limitazione fino a 4 miglia e da una di preavviso fino a 8 miglia. Anche se non si dice, il rigassificatore dovrà essere protetto da eventuali attacchi terroristici, provocando un’ulteriore militarizzazione di un territorio incui è presente la base Usa di Camp Darby. I ricorsi contro il progetto del rigassificatore, presentati da Greenpeace e dal Comitato di Livorno e Pisa, sono stati accolti nel 2008 dal Tar. La Olt se n’è però infischiata, continuando i lavori. Finché, nel 2010, il Consiglio di Stato ha dato ragione a Olt, dichiarando i ricorsi irricevibili e/o inammissibili.