Sulla Croisette ci è arrivato nonostante i processi, un ricovero in ospedale (ma c’è pure chi ne dubita, lasciando intendere che l’uomo è capace di tutto … ), più di vent’anni di riprese, un set tempestoso, disastri finanziari, accuse di avere distrutto una antichissima chiesa portoghese; è stata una vera epopea il nuovo film di Terry Gilliam, The Man Who Killed Don Quixote, quasi come quella a cui si ispira, il Don Chisciotte di Cervantes e le sue lotte contro i mulini a vento, che nell’immaginario collettivo rappresentano battaglie impossibili, spesso destinate a sicuro fallimento. Don Chisciotte c’est moi?

Qualcosa di «donchisciottesco» c’è nel regista che a differenza del «suo» personaggio è stato più caparbio ancora ed è riuscito nell’intento di salvare la sua Dulcinea, ovvero il suo film, vincendo la causa per poterlo proiettare col produttore portoghese Paulo Branco, e assicurandosi dopo l’anteprima sulla Croisette anche l’uscita nelle sale francesi domani. Quanto poi tutto ciò che è accaduto ha modificato il progetto è difficile dirlo, il film ne porta le tracce fino a confondersi con la «realtà», con ciò ha attraversato insieme al suo regista, mischiando la cifra visionaria «cervantesca» a quella dell’ex Monty Python, ai suoi mondi paralleli, carichi di segni fino a straripare; del resto l’insegna ci avverte che il paesino dove stiamo entrando arroccato in una Spagna, simile all’orizzonte di un western di serie b, si chiama «Sueño», Sogno, lì dove tutto è possibile.

Gilliam racconta che Cervantes lo ha «scelto» – «Sono una vittima di quell’uomo del XVII secolo, penso che in tutti questi anni ha abusato di me» ha dichiarato in una intervista al quotidiano «Libération» .Era questo che ha cercato tra tante peripezie e «mulini a vento»? Poco importa. The Man Who Killed Don Quixote è il film che esiste ora con il visibile sconquasso della sua realizzazione e con la fatica del tempo, con le affinità. Regista di successo all’epoca di Brazil e di L’esercito delle dodici scimmie a Hollywood è considerato come un folle, nessuno era disposto a fidarsi al punto che per mettere insieme i finanziamenti sul progetto di Don Chisciotte gli ci sono voluti dieci anni più un cast di lusso, Johnny Depp, Vanessa Paradis, Jean Rochefort.

Ma non ha funzionato sin dall’inizio, nel 2000, mentre giravano in una zona a nord di Madrid gli F16 della base area vicina rovinavano il suono, poi una tempesta ha distrutto tutto e l’attore principale, Rochefort se ne è andato per problemi di salute.
La chiamano la «maledizione» del Don Chisciotte (al cinema) che anche Welles – qui citato e omaggiato – ha inseguito per decenni senza riuscire a portare a compimento. Ma Don Chisciotte è proprio questo, l’avventura dei «folli e sognatori», gli artisti che non vogliono piegarsi, che non vogliono assecondare i compromessi mettendo da parte la propria immaginazione, che prediligono i risultati scassati, fuori moda, i «fallimenti» e la loro grandezza, che sono un po’ banditi e un po’ spregiudicati.

Che film è dunque The Man Who Killed Don Quixote? Un film nel film, con un regista (Adam Driver) di oggi che ha scelto la Spagna per il suo nuovo progetto bloccato dagli attori che non funzionano, dal produttore senza soldi che lo detesta, Toby (questo il suo nome) è poco accomodante, in crisi totale di ispirazione, eppure l’immagine di Don Chisciotte l’aveva in mente da quando era un ragazzo, studente di cinema pieno di passione che in quegli stessi posti, dieci anni prima, aveva girato in bianco e nero The Man Who Killed Don Quixote.

Così un giorno di particolare impasse prende la moto e va a cercare gli attori di quell’avventura: ma non c’è più nessuno, l’esperienza del film ha cambiato le loro vite portandoli lontano. Il vecchio protagonista (Jonathan Pryce), che era un calzolaio, è rimasto intrappolato in Don Chisciotte, recitando come in un baraccone; Angelica, adolescente, è diventata una escort, Sancho Panza è morto… Ma il tempo al cinema può andare avanti e indietro, è un tempo di incantesimi e di illusioni. Toby, il regista, diventa Sancho Panza, lui e il suo cavaliere sono due straccioni in fuga che sfidano la sorte, l’Inquisizione che perseguita gli arabi o forse sono i poliziotti dei nostri giorni a caccia di migranti che cercano di varcare i chiusissimi confini spagnoli.

Nel ballo in maschera per divertire il nuovo sponsor del film, un mafioso russo produttore di vodka, la linea tra «realtà» e «finzione» si assottiglia ancora: un rogo delle streghe medioevale è vero o sono lampi digitali? E Don Chisciotte anima cavalleresca è solo un poveraccio che serve a farli ridere… Nel teatro degli inganni, di una società dello spettacolo dove si deve vendere divertimento e compromessi non sembra esserci posto per i suoi viaggi sulla luna. Ma: e gli artisti?
L’itinerario è chiaro come la necessità di mettere al centro la propria esperienza ma in questo che è il più lineare dei suoi film Gilliam vuole troppo dimostrare. La follia donchisciottesca aveva bisogno di una più grande (catastrofica) libertà.