Non posso fare a meno di innamorarmi di te. Era l’inizio della primavera di 60 anni fa quando Elvis Presley in uno studio di Hollywood incideva nel corso di una session durata tre giorni, dal 21 al 23 marzo 1961, un brano di tre minuti destinato a diventare uno dei suoi successi più amati e conosciuti: Can’t Help Falling in Love. Un referendum di critici musicali organizzato dalla rivista Billboard nel 2017 la giudicò tra le cinque canzoni migliori incise da Elvis. Diversi altri sondaggi tra i fan l’hanno sempre collocata ai primi posti tra le interpretazioni immortali di The Pelvis, al pari di classici come Suspicious Minds e Jailhouse Rock.

RADICI ITALIANE
È il singolo di Elvis più riprodotto sulle piattaforme di streaming musicale. Questo pezzo di storia del rock’n’roll ha però anche delle sorprendenti radici italiane, è il frutto di curiose contaminazioni e per poco non fu scartato in studio di registrazione. Il film della storia di questa canzone inizia in un ufficio di Manhattan, al 1619 di Broadway, in uno degli undici piani del Brill Building che era noto per ospitare autori e editori musicali, collocato strategicamente a pochi passi da Times Square e da Tin Pan Alley, culla della musica americana di inizio Novecento. Qui lavoravano due cugini italo-americani, Luigi Creatore e Hugo Peretti. Creatore era il figlio del compositore napoletano Giuseppe, celebre in Italia e poi anche negli Stati Uniti come direttore di bande musicali. Tra l’influenza del genitore e la passione per i musical di Broadway in cui era solito intrufolarsi senza pagare il biglietto, Luigi, dopo la seconda guerra mondiale (durante la leva fu tra i sopravvissuti dell’attacco a Pearl Harbour), decise di diventare un autore a tempo pieno, coinvolgendo nella sua avventura anche il cugino Hugo, un trombettista che aveva suonato in diverse orchestre e big band. Iniziarono così il lavoro di songwriter a tempo pieno collaborando con la Rca, diventando noti come Hugo & Luigi, e firmando canzoni per l’infanzia e brani pop di discreto successo per artisti dell’epoca quali Valerie Carr e Jimmie Rodgers. La collaborazione fino ad allora più prestigiosa arrivò però all’inizio degli anni Sessanta quando alla loro porta bussò Julian Aberbach. Era un personaggio che ai tempi non aveva bisogno di molte presentazioni; ebreo austriaco trapiantato negli Stati Uniti, aveva proseguito nel Nuovo Mondo il lavoro che già aveva iniziato a svolgere in Europa, quello di editore musicale. In America si era appassionato al country, ma alla metà degli anni Cinquanta era stato folgorato da Elvis, aiutando un suo amico, il colonnello Tom Parker, a diventarne il manager e negoziando per 40mila dollari il passaggio dell’astro nascente del rock dalla Sun Records alla Rca.
Tutta la musica che l’artista incideva passava dalla supervisione di Aberbach e veniva registrata a nome di due società, la Elvis Presley Music e la Gladys Music, che erano possedute per metà da Elvis e per metà dallo stesso Aberbach e da suo fratello. Quando giunse nello studio della premiata ditta Hugo & Luigi, l’editore aveva una semplice richiesta. Elvis stava girando un film chiamato Blue Hawaii, in una scena il personaggio che interpretava portava in dono un carillon che aveva comprato a Vienna e che riproduceva una musica di un’antica canzone d’amore. L’idea era, sulla base di quella semplice melodia, di ricostruire una canzone nuova e romantica adatta a Elvis. La scelta era caduta su Creatore e Peretti proprio perché, essendo italoamericani, erano, nell’idea di Aberbach, più in sintonia con una melodia europea. I due cugini si misero senza indugio al lavoro coinvolgendo un loro collaboratore, George Weiss. Il lavoro partì proprio dal suono del carillon che ricreava il motivo di una romanza francese della fine del Settecento, Plaisir d’amour, composta da Jean-Paul-Égide Martini. Alle prime note eseguite al pianoforte fu proprio Luigi Creatore a pensare al titolo, Can’t Help Falling in Love. Il tema musicale venne poi sviluppato e il testo venne creato verso per verso, fino ad arrivare alla strofa conclusiva.

PRENDI LA MIA MANO
A questo punto i tre compositori rimasero bloccati. Fu sempre Creatore a suggerire di proseguire con il verso «take my hand» («prendi la mia mano»); gli atri due compositori lo guardarono molto perplessi finché non proseguì anche con «take my life too» («prendi anche la mia vita»). I due versi combaciavano a perfezione e si armonizzavano con la melodia. La canzone era pronta. «Non devi essere un genio, devi solo essere un artigiano»: commenterà così lo stesso Creatore il lavoro di quei giorni in un’intervista concessa poco prima della sua scomparsa, avvenuta nel 2015. Il brano venne inciso poco tempo dopo al Radio Recorders Studio in California. In sala di registrazione non riscosse grandi entusiasmi nell’entourage di Elvis, qualcuno storse il naso. In effetti era una canzone tanto semplice quanto particolare, essendo una versione moderna di una ballata arcaica. Richiedeva un’interpretazione da cantante melodico tradizionale e per di più era destinata a essere interpretata in un film ambientato alle Hawaii da un Elvis in camicia a fiori e con un contorno di suonatori di ukulele. Ma il re del rock’n’roll fu quello che credette di più nella canzone. Nel corso delle registrazioni si era incaponito e si era sforzato di trovare il tempo di esecuzione ideale e il tono di voce più adatto, incidendo il brano per ben ventinove volte di seguito. Alla fine si dimostrò assolutamente soddisfatto del risultato. Fu così che nel novembre 1961 Can’t Help Falling in Love fu scelta come singolo per accompagnare l’uscita di Blue Hawaii.
Il 45 giri, cosa strana per i vinili di Elvis di quegli anni, non arrivò al numero uno. Il pubblicò sembrò preferire The Peppermint Twist di Joey Dee and the Starliters. Ma il brano di Creatore, Peretti e Weiss che era più debitore al belcanto che al rock’n’roll, divenne uno dei titoli più amati nel repertorio di Presley.
Anche Blue Hawaii, la storia di un soldato che torna a casa sulle isole dopo aver prestato servizio militare in Europa, fu un successo. Tuttavia il trionfo della pellicola al botteghino è stato giudicato da molti fan come una maledizione. Elvis infatti si trasformò dagli inizi degli anni Sessanta, grazie alla popolarità dei suoi film (o per colpa di questa), in un cantante al servizio di Hollywood, favorendo una carriera cinematografica mediocre e penalizzando un talento musicale straordinario.
Nell’epoca in cui la scena del pop stava cambiando velocemente, Elvis sfornava filmetti musicali e colonne sonore a ripetizione, mentre il mondo scopriva i Beatles e i Rolling Stones. Ma Can’t Help Falling in Love accompagnerà per sempre Presley, fu la canzone con cui scelse di concludere i suoi concerti e fu l’ultimo brano che cantò in pubblico, in una versione più scattante e country, alla Market Square Arena di Indianapolis il 26 giugno 1977, poco meno di due mesi prima della morte. Il successo della canzone consacrò definitivamente anche la carriera dei tre autori. George Weiss realizzò diverse colonne sonore e nel 1967 scrisse What a Wonderful World per Louis Armstrong. Creatore e Peretti divennero produttori e discografici in proprio, firmando tra l’altro anche il classico The Lion Sleeps Tonight, lavorando con Perry Como, Sarah Vaughan, Sam Cooke e scrivendo per Broadway. Nel corso di questi 60 anni sono state innumerevoli le cover del brano realizzate da interpreti di ogni generazione tra cui Frank Sinatra, Bob Dylan, Beck, Bono, UB40, Julio Iglesias, Andrea Bocelli, Michael Bublé e Twenty One Pilots. Tra le versioni più recenti quella di Malcom Raffaello Creatore, nipote di Luigi e cantante.