Regista discontinuo ma quasi sempre interessante, James Mangold lo si ricorda soprattutto per l’eccellente Cop Land, l’intrigante ma irrisolto Identità e progetti ambiziosi ma non sempre riusciti come Quando l’amore brucia l’anima (il biopic su Johnny Cash) e Ragazze interrotte. Mangold, similmente al Curtis Hanson, nonostante i risultati altalenanti, ha sempre tentato di dialogare con Hollywood attraverso il filtro di un approccio settantesco, strategia che in Logan produce un risultato eccellente. Che Mangold avesse nel cuore e negli occhi un western tutto suo era evidente già ai tempi di Cop Land anche se il tentativo di confrontarsi con il genere per eccellenza realizzando il rifacimento di Quel treno per Yuma non è stato del tutto soddisfacente. Wolverine, invece, alla stregua di un ipertesto narrativo (in linea con la politica editoriale della Marvel che ha utilizzato le origini incerte del personaggio per calarlo in ambientazioni estremamente diversificate) permette finalmente a Mangold di realizzare il western che ha sempre sognato.
Se il soggetto e la sceneggiatura, opera dello stesso regista in collaborazione con Michael Green, Scott Frank e David James Kelly, si presentano come una variazione sul tema della saga Vecchio Logan scritta da Mark Millar (l’autore di Civil War) già strutturata come un post-western apocalittico, Mangold inietta nella vicenda del salvataggio di bambini mutanti creati artificialmente elementi della trilogia milleriana di Mad Max ibridandoli con altri derivanti dalla tradizione testuale degli X-Men.

Rispetto al precedente Wolverine – L’immortale (da vedere rigorosamente nella versione uncut distribuita in home video), (quasi) un omaggio fantasma a Yakuza di Sydney Pollack, Logan, ambientato dopo il genocidio dei mutanti, è un film crudo, violento, arso dal sole, in grado di centrare il tema portante della saga degli uomini X, ossia la trasmissione e l’educazione. Il rapporto fra Charles Xavier e Logan, l’utopia di una convivenza fra mutanti e umani, è un abile intreccio fra il finale di Scisma, Mad Max – Oltre la sfera del tuono e l’arco narrativo degli Avengers La crociata dei bambini.

Ambientato oltre il confine messicano con precisi riferimenti al muro trumpiano, dotato di un passo narrativo grave, a tratti addirittura peckinpahiano, attraversato da brutali corpo a corpo e copiosi spargimenti di sangue, Logan è probabilmente uno dei migliori film dedicati a un personaggio Marvel assieme al Doctor Strange e al primo Avengers. Sovrapponendo Shane de Il cavaliere della valle solitaria a Wolverine, Mangold dichiara come il film di supereroi sia il nuovo western, il codice genetico del cinema hollywoodiano contemporaneo (così come il western lo era della Hollywood classica).

Sui titoli di coda risuona la voce inconfondibile di Johnny Cash con The Man Comes Around offrendo la conferma come Logan sia per James Mangold il luogo narrazione dove tutto il suo cinema ritrova la felicità e la compiutezza del magnifico Cop Land.