Il conto alla rovescia è iniziato: dovrebbe concludersi con le dimissioni dei ministri pdl e l’avvio di fatto della crisi. Enrico Letta ostenta il solito ottimismo: «I risultati confermano che questa maggioranza può lavorare insieme». Repertorio, in buona parte usato preventivamente per addossare al Pdl la responsabilità di una crisi che lo stesso Letta, probabilmente, avverte come imminente.

Venerdì doveva riunirsi l’ufficio di presidenza del Pdl per bruciare gli ultimi ponti. Poi Letta senior, Confalonieri e Marina hanno strappato un estremo rinvio: venerdì vertice con tanto di falchi e colombe, domenica, probabilmente, un videomessaggio di fuoco alla nazione. L’ufficio di presidenza si riunirà invece lunedì, in contemporanea con la giunta per le immunità del senato. Di lì Berlusconi aspetta o un segnale di resa da parte del Pd oppure un appiglio concreto, non necessariamente il voto che certamente non sarà per quel giorno, che gli permetta di addossare agli alleati tutta la responsabilità della rottura. Però il condannatissimo ha già deciso per la crisi, anche se, dato il carattere dell’uomo, potrebbe ancora ripensarci.

Almeno sulla carta, però, a fargli cambiare idea potrebbe solo essere il successo dell’ultimo pressing sul Colle, tentato ieri da Letta e da Confalonieri. Ma sull’esito di quella missione impossibile il condannato è il primo a non farsi illusioni.Il Quirinale chiede l’accettazione della sentenza, in concreto le dimissioni da senatore, come condizione per un provvedimento di clemenza. Altrimenti non se ne parla nemmeno. Per il Cavaliere una grazia che non lo salvasse dalla decadenza (e dalla conseguente esposizione a eventuali ordini di arresto per l’uno o l’altro dei processi in cui è coinvolto) sarebbe una beffa. Non se ne parla nemmeno. Posizioni poco conciliabili.
Stando così le cose, Berlusconi è convinto che la caduta del governo Letta sia comunque necessaria. Se si arriverà alle elezioni, bene: i sondaggi lo danno avanti con un vantaggio che oscilla fra i 3 e i 5 punti. Se invece dal cilindro di Giorgio Napolitano usciranno fuori i senatori necessari per un nuovo governo, bene lo stesso: sarà una replica del governo dell’Unione del 2006-2007, con dentro forze difficilmente conciliabili e che oltre tutto dovrà vedersela con una temperie economica drammatica. Proprio ieri, del resto, Nichi Vendola, i cui sette senatori sarebbero probabilmente indispensabili per un nuovo governo, ha fatto capire che alla guida di quell’esecutivo non potrebbe esserci Letta, troppo coinvolto con una scelta intimamente berlusconiana come il taglio dell’Imu a spese delle fasce più deboli.

C’è un ulteriore motivo che consiglia al Cavaliere di accelerare i tempi. Sa che Napolitano non ha in mente una maggioranza variopinta e rissosa. Mira invece a spaccare il Pdl, così da riproporre la stessa coalizione di governo, solo più esigua nei numeri, e il tempo lavora a suo favore.

L’assemblea dei senatori pdl di ieri è stata di conseguenza una chiamata alle armi. Non a caso, a chiuderla è stato uno dei più duri, Augusto Minzolini, che è andato giù piatto: «Rompere, se passa l’incandidabilità, non è solo una questione di lealtà con Berlusconi. E’ che se il centrodestra molla su questo punto perde ogni ragione di esistere». Di fatto una situazione speculare a quella del Pd, che non potrebbe cedere senza condannarsi alla dissoluzione. Prima di lui, tutti i senatori avevano giurato fedeltà alle scelte del capo. Qualcuno confessando i propri dubbi, ma senza per questo mettere in forse il proprio voto di fronte a una decisione del perseguitato. La resistenza più corposa era stata quella di Scilipoti, e anche questo è un particolare eloquente.
E le colombe? Lavorano anche loro, ma su un altro fronte: quello della Giunta per le immunità, il cui ufficio di presidenza si è riunito ieri. Se Silvio e i falchi accelerano, loro, in quella sede, prendono tempo. Ieri, in un clima di massima tensione, hanno impedito che si arrivasse a fissare un’agenda dei lavori concordata (per la quale si richiedeva l’unanimità).

Se ne riparlerà in Giunta. Lunedì i lavori ripartiranno con la relazione del pdl Augello, cosa succederà da quel momento in poi è fumoso. Che si prosegua a oltranza come vorrebbe il M5S è quasi escluso. Ma il presidente Stefàno è deciso a impedire sia drasticità eccessive, che agevolerebbero il tentativo pdl di far apparire la Giunta un plotone d’esecuzione, sia dilazioni pretestuose. Di fatto, al voto dell’aula si arriverebbe nella prima metà d’ottobre. Sempre che il quasi-decaduto non rovesci il tavolo subito. Eventualità che, se non certa, è di ora in ora più probabile.