Per la prima volta nella storia gli italiani aspetteranno l’esito delle elezioni senza chiedersi chi vincerà ma se vincerà qualcuno. Più precisamente se vincerà il centrodestra, che tra le forze in campo è l’unica che possa sperare in una maggioranza parlamentare. La coalizione non è lontanissima dal traguardo ma neppure sembra averlo a portata di mano. Però, qualunque sia il responso delle urne, conviene non sottovalutare le doti e i mezzi di cui dispone il signore d’Arcore quando si tratta di acquistare. Non è detto che tra un paio di settimane i voti a disposizione della destra siano solo quelli che decideranno gli elettori.

SE CE LA DOVESSE FARE, la fragile alleanza tra Arcore e Pontida sarà rinsaldata dal potere. Ma le crepe resteranno perché i punti sui quali gli alleati sono su sponde opposte sono pochi ma dirimenti, primo fra tutti l’Europa. Soprattutto, quel dissenso riverbera immediatamente sulla scelta del premier: il candidato-burattino di Berlusconi, Antonio Tajani, è stato scelto apposta per rassicurare Bruxelles. Quello della Lega, Salvini, è quanto di peggio per la Ue. Mediare non sarà comunque facile.

Ma il risultato complessivo della destra non è la sola né la principale incognita di queste elezioni. Sono in ballo altri equilibri, tali da smantellare i cardini del sistema stesso.
Il primo punto interrogativo riguarda i risultati che otterrà M5S. Saranno cospicui, salvo clamorose sorprese. Sarà quasi certamente la singola lista più votata, ma è un risultato atteso e di per sé non dirompente. Se il successo andrà oltre le aspettative, se la lista di Di Maio supererà l’asticella del 30%, si tratterà invece di uno tsunami. Nei tempi brevi diventerà impossibile ipotizzare un governo del presidente senza il coinvolgimento diretto del Movimento. In un orizzonte più ampio sarà M5S a rimpiazzare il Pd come baricentro del sistema politico italiano, ruolo ricoperto dal 1993 in poi dal Pds-Ds-Pd, insieme a Fi prima e negli ultimi anni da solo.

CHE IL PD PERDA quel ruolo centrale appare alla vigilia, se non certo, almeno molto probabile. L’interrogativo riguarda in realtà le dimensioni del disastro previsto. Se si arresteranno intorno o sopra il 22%, al Nazareno brinderanno immaginando rivincite. Al di sotto la mazzata sarebbe pensatissima, ma non tanto da travolgere il segretario. Se però cedesse la linea del 20% difficilmente si potrebbe evitare il «si salvi chi può»: sarebbe la fine del renzismo anche all’interno del Pd. La somma tra un successo oltre le attese di M5S e una sconfitta del Pd molto più pesante del previsto ridisegnerebbe le mappe della politica italiana. Il Pd diventerebbe una forza periferica, il classico vaso di coccio stritolato tra quelli di ferro della destra e dei 5S. In un simile quadro, infine, acquisterebbe qualche sostanza un’ipotesi della quale nell’ultima settimana si è parlato spesso ma più che altro come esercizio di fantapolitica: quella di un governo M5S appoggiato da un Pd «derenzizzato» e da LeU, magari con la formula classica dell’appoggio esterno.

PER LE SORTI della legislatura e per la fisionomia del quadro politico italiano negli anni a venire sarà altrettanto decisiva la terza incognita potenzialmente deflagrante del voto: l’eventuale sorpasso della Lega su Fi. Se prenderà anche solo mezzo voto in più di Berlusconi, da domani Salvini sarà inarrestabile e l’intero dna della destra italiana ne uscirà modificato in tempi record. Sarà la fine di quel singolare intreccio fra destra radicale e moderatismo post-democristiano che aveva costruito Berlusconi e che ha retto, sia pur sempre più debolmente, sinora.

LA LEADERSHIP di Salvini sull’intera destra renderebbe molto più arduo il compito del capo dello Stato, ostacolerebbe forse in modo insuperabile il suo prevedibile tentativo di formare un governo del presidente per cambiare la legge elettorale. Sia il leghista che Di Maio (o chi per lui) avrebbero infatti fretta di tornare alle urne per vampirizzare entrambi, da sponde opposte, il Pd, in nome di un «voto utile» reciprocamente invocato come unica barriera per fermare il contendente.

Se anche una sola di queste sorprese si verificherà davvero, l’impatto sarà terremotante. Se tutte e tre diventassero realtà il sistema politico italiano attuale s’inabisserebbe come Atlantide.

PER LA SINISTRA, la sorte di LeU è l’incognita principale. Al di sotto del 5% il progetto rischia di essere sepolto. Dal 5% in su il tentativo di trasformare una lista comune in una forza strutturata e progettuale della sinistra avrà la strada aperta. Discorso identico, ma su percentuali diverse, vale per Potere al Popolo. Dal 2% in più avrà le carte in regola per non limitarsi a un’avventura stagionale. Oltre il 3% diventerebbe una delle sorprese clamorose di questa tornata elettorale.

La lista di Emma Bonino, infine, è già una sorpresa. Raccoglie i consensi di quelli che vogliono votare Pd ma non Renzi, e per questo sono pronti a ingoiarsi un programma che al confronto la Thatcher sembra una socialista.