C’era una volta un pover’uomo che lavorava dalla mattina alla sera per un tozzo di pane. La notte dormiva profondamente per recuperare le forze e ripartire il mattino seguente. Una sera un ladro entrò in casa sua. Perlustrò il cortile e si addentrò nell’abitazione, ma non trovò nulla che valesse la pena portar via. Entrò nella camera da letto e vi trovò il pover’uomo avvolto in una coperta priva di valore e bucata in più punti. Arrabbiato, il ladro lo svegliò e gli disse: «In questa casa non c’è proprio nulla da rubare». Da qui viene il detto persiano Ma ke raftim, amma in rasm-e zendeghi nashod: noi ce ne andiamo, ma questo non è il modo di vivere. La cultura popolare persiana è ricca di proverbi come questi. Davood Abbasi li ha raccolti in un volume, insieme ad alcune fiabe tratte dai classici. Il libro si intitola Fiabe persiane (http://www.crognali.it/prodotto/fiabe-persiane/ pp. 136, euro 10). L’autore è iraniano ma nasce a Catania, da ragazzino si trasferisce a Teheran, si laurea in ingegneria e viene assunto nell’agenzia aerospaziale iraniana. Si dedica al progetto della prima astronave iraniana con a bordo un essere umano, un progetto abbandonato dalle autorità di Teheran nel 2013. Nel frattempo, Davood Abbasi diventa lettore di lingua e letteratura italiana all’università di Teheran, lavora come giornalista radiofonico nell’emittente di lingua italiana dell’IRIB (la radiotelevisione di Stato dell’Iran) e nel 2018 viene da essa insignito del premio Giornalista dell’anno. Nel 2017, all’indomani dell’accordo nucleare che avrebbe dovuto riaprire il paese al business con l’Occidente, fonda l’agenzia Persia Viaggi (www.persiaviaggi.com) con un’offerta dedicata ai turisti italiani. Questa di è, di per sé, una storia di resilienza che vale la pena raccontare, con l’augurio che presto si torni a viaggiare.

L’Iran affascina il lettore, ma è difficile da decifrare anche perché la sua cultura è intrisa di superstizioni, e quindi non solo di religione. Basti pensare all’usanza, ormai desueta, di interrompere un’azione quando si sente qualcuno sternutire come nel romanzo La civetta cieca di Sadeq Hedayat (1903-1951) in cui l’io narrante era intenzionato a tagliare a brandelli la moglie, per poi consegnarla al macellaio dirimpettaio affinché li vendesse. Avrebbe voluto prendere un pezzo di coscia da portare al vecchio recitatore di Corano, amante della moglie, per tornare l’indomani e chiedergli: «Sai di chi era la carne che ti sei mangiato ieri?» Se il protagonista non darà sfogo al suo proposito assassino, sarà solo perché sente uno starnuto dietro la porta. Così si intuisce in La civetta cieca, un testo complesso, ricco di idiomi. Non aggiungo altro, perché la bella traduzione dal persiano di Anna Vanzan di questo classico della letteratura persiana del Novecento è già stata recensita su queste pagine (Carbonio Editore, pp. 136, euro 14,50).

Le superstizioni degli iraniani sono protagoniste anche di Paura e tremore, il romanzo di Gholamhoseyn Saedi (1936-1985) pubblicato nel 1968 e riproposto ai lettori di lingua italiana da Ponte33 in collaborazione con l’Ismeo (pp. 174 euro 14, traduzione di Felicetta Ferraro e postfazione di Hasan Mirabedini). È un ciclo di racconti nati dall’esperienza dell’autore, medico e psichiatra nel Golfo persico, un’area che negli anni Sessanta era caratterizzata da condizioni di vita molto difficili e quindi da costanti timori e insicurezze. Scrittore per passione, Saedi militava nel partito comunista Tudeh e critica la monarchia Pahlavi che osanna il modello occidentale. Le storie sono sei, si completano e si arricchiscono l’una con l’altra avendo come denominatore comune l’intromissione di un elemento estraneo in una piccola comunità di poveri pescatori dove il credo religioso musulmano si intreccia a pratiche magiche. Un libro da non perdere.

Gholamhoseyn Saedi era stato anche l’autore della famosa sceneggiatura del lungometraggio Gav, ‘La vacca’, portata sugli schermi dal regista Dariush Mehrjui. Un film drammatico del 1969 che raccontava le miserie delle aree rurali, laddove invece la monarchia esaltava la modernizzazione del paese ricco di petrolio. Un film censurato in Iran, contrabbandato al festival del cinema di Venezia nel 1971 e diventato il simbolo del neorealismo iraniano. Il cinema è uno dei pilastri della cultura persiana, espressione di artisti che non cedono alla censura e ne pagano il prezzo come Jafar Panahi, che non può lasciare l’Iran né rilasciare interviste. Nel cinema iraniano spiccano comunque anche registi che hanno deciso di evitare di trattare temi scottanti e quindi non sono finiti sotto la scure del censore. È il caso di Abbas Kiarostami (1939-2016) a cui è dedicata l’interessante monografia di Abbas Gharib dal titolo Caro Abbas Kiarostami, perché il cinema? L’arte di vivere la vita diversamente, risultato di un workshop del 2015 presso la Tenstar Community di Verona che lo ha dato alle stampe (pp. 224, euro 25 per ordinarlo scrivere a s.gharib@studiogharib.net). Non è una raccolta di saggi, quanto la trascrizione degli incontri con un pubblico selezionato attraverso la mediazione dell’amico architetto Abbas Gharib, che vive in Italia e che con Kiarostami condiviso il percorso scolastico da bambino a Teheran.

L’Iran è un paese isolato, in cui l’eterogeneità delle visioni politiche all’interno dei vertici di Teheran e il loro pragmatismo vengono spesso confuse con un radicalismo ottuso. L’Iran è dunque un paese frainteso. Per comprendere che il fondatore della Repubblica islamica non era un fondamentalista, nel senso che non rivendicava un ritorno ai fondamenti dell’Islam, ma era un rivoluzionario, si suggerisce la biografia Khomeini. Il rivoluzionario di Dio di Alberto Zanconato, giornalista dell’Ansa e già corrispondente da Teheran (Castelvecchi, pp. 288, euro 22). Per capire gli effetti disastrosi sulla società e sull’economia iraniana dovuti all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e al ritiro unilaterale degli US dall’accordo nucleare, è senz’altro utile il volume L’Iran al tempo di Trump che la competente e appassionata giornalista Luciana Borsatti ha appena pubblicato in una nuova edizione aggiornata. (Castelvecchi, pp. 176, euro 17,50).

Anche l’architettura e l’urbanistica possono essere utili a svelare l’Iran. Alessandra De Cesaris insegna alla Sapienza ed è autrice di un paio di volumi corredati da immagini preziose. Il primo si intitola Case iraniane. Il valore del vuoto (FrancoAngeli, pp. 158, euro 21) in cui l’enfasi è posta appunto sul vuoto traendo spunto da una frase di Italo Calvino in Collezione di sabbia: «Questo avevo creduto di capire in quel mio lontano viaggio a Isfahan, che la cosa più importante al mondo sono gli spazi vuoti». L’introduzione è del noto architetto iraniano Kamran Afshar Naderi, mentre i saggi sono di vari specialisti. Hassan Osanloo ha scritto di spazi vuoti di Narmak, Ghazal Farjami di cortili tradizionali e sperimentazioni contemporanee, Saggiad Behrooz di vuoto e trasparenza nell’architettura iraniana, Leila Bochicchio dell’evoluzione della tipologia residenziale nel corso del Novecento a Teheran, Ehsan Masoud di regolamenti sulla densità edilizia, Alessia Guerrieri dei progetti Pardis Mehr (voluto da Mahmoud Ahmadinejad) e Sharak-e Ekbatan, il complesso del Movimento Moderno realizzato a partire dagli anni Settanta nelle adiacenze di Teheran e oggi completamente inglobato nella capitale. A chiudere questa raccolta di saggi è l’intervista della curatrice ad Alireza Taghaboni del prestigioso studio di architettura NextOffice, vincitore del Royal Academy Dorfman Award per l’attualità dei suoi progetti che sanno reinterpretare elementi della tradizione tenendo conto delle esigenze contemporanee, del contesto economico, politico e socioculturale del suo paese. Il secondo volume sull’Iran dell’architetto romana Alessandra De Cesaris – questa volta con i colleghi Giorgio Di Giorgio e Laura Valeria Ferretti – si intitola Attraverso l’Iran. Città, architetture, paesaggi ed è il risultato di numerosi viaggi nel quadro di accordi tra la Sapienza e diverse università iraniane (Manfredi Edizioni, pp. 318, euro 25).

Sempre su queste tematiche, il volume Spaces for living, Spaces for sharing a cura di Simona Canepa del Politecnico di Torino è frutto di una ricerca a Teheran nella primavera 2019 grazie a un finanziamento del Dipartimento di Architettura e Design (LetteraVentidue, pp. 240, euro 24). I testi sono tutti in inglese, quelli tradotti dall’italiano avrebbero avuto necessità di un’attenta revisione. Inoltre, il lettore non dovrà lasciarsi scoraggiare dai numerosi refusi del primo capitolo in cui la curatrice racconta le proprie impressioni della capitale Teheran. Superando questo primo ostacolo, il lettore potrà accogliere le testimonianze di alcuni autorevoli protagonisti della scena architettonica iraniana. Bellissime le immagini, di cui è presente un elenco dettagliato. Le biografie degli autori sono in calce al volume, mancano però un sommario e un indice dei nomi.

Infine, per chi ai libri preferisse i podcast, in questi mesi il blogger Antonello Sacchetti ha avviato oltre cinquanta conversazioni in diretta streaming sui social e sul blog www.diruz.it con esperti e appassionati di Iran, su cultura, politica, cinema, teatro, libri e storie personali. I prossimi collegamenti saranno il 27 luglio con il traduttore Michele Marelli, Leila Karami e, in collegamento da Teheran, lo scrittore Ahmad Dehqan autore del romanzo storico Viaggio in direzione 270° sulla guerra Iran-Iraq 1980-1988 (Mimesis, pp. 276, euro 20). Il 29 con Franco Naccarella si discuterà di sanità e ricerca in Iran; il 30 Elena Scarinci parlerà di un classico della letteratura moderna per ragazzi, Il pesciolino nero di Samad Behrangi; il 31 le ospiti Daniela Meneghini, Leila Karami e Melissa Fedi discuteranno di So di una donna, raccolta di poesie dedicata a Biancamaria Scarcia Amoretti. Tutti i podcast audio e video sono disponibili al link www.diruz.it/conversazioni-sulliran/

*Farian Sabahi
Autrice di «Storia dell’Iran 1890-2020» il Saggiatore