La luce e il buio, quando si è colpiti da un lutto improvviso, assumono una diversa connotazione emotiva. Ma come fare a esprimerlo in immagini? Alicia Scherson ci riesce, così come procede nella messa in scena dell’elaborazione del lutto. È riuscita a farsi concedere i diritti del romanzo di Roberto Bolaño Una novelita lumpen, ispirato a Nueve novelas breves del grande romanziere cileno José Donoso.

La protagonista, ormai adulta, moglie e madre, racconta il periodo oscuro della sua adolescenza colpita dall’improvvisa morte dei genitori in un incidente automobilistico, cileni vissuti a Roma da tempo.
Gli avvenimenti appaiono attraverso la percezione di Bianca (la sperimentata Manuela Martelli di Machuca) tenuti a distanza. Nella casa di famiglia gli oggetti sono lasciati immobili come per un sortilegio, così come sono stati usati l’ultima volta, le ultime cicche nel posacenere, i guanti di gomma sul lavello, la camera dei genitori chiusa.

Finché non viene occupata da due amici (Vaporidis, Giallocosta) del fratello minore, dediti al body building, tatuati, di sospette appartenenze, ma abbastanza educati da preparare il pranzo e lavare i piatti. Si ricompone così idealmente una sorta di quartetto familiare. La preoccupazione costante, il futuro, sembrerebbe risolversi con un colpo grosso, dopo aver individuato la cassaforte di un mitico Maciste (Rutger Hauer) che vive solo nella sua immensa villa frutto dei guadagni dell’epoca dei peplum.

Il Maciste è cieco, compare come una gigantesca incarnazione della morte stessa, insieme fantasia sulla scomparsa della famiglia e del cinema stesso. Dopo il tortuoso percorso compiuto, infine Bianca riacquista una nuova coscienza di sé. Ha sfiorato l’immobilismo, la paura, il malaffare, il tutto vissuto senza clamore, come l’attraversamento di un Ade desiderato ma impossibile da avvicinare. In più, poiché il film è ambientato a Roma, al lutto che ha colpito i due ragazzi si aggiunge una sensazione di disfacimento che ormai appartiene alla città e al paese intero, come l’auto ormai compattata dell’incipit, un’industria sparita.

Certo bisogna anche fare i conti con quel fenomeno di straniamento che colpisce i registi che si accostano all’Italia – ne rimase vittima perfino Polanski – o forse sono gli spettatori italiani a non essere in sintonia con racconti che tengono a distanza il realismo e il comico.
In un paese che non ha ancora elaborato Germania anno zero è difficile che il pubblico possa entrare con pieno appagamento in una trama luttuosa sebbene di origine letteraria, con personaggi dall’accento lievemente straniero, attori italiani a fare da contorno e tenuti ai margini perché quello è il loro posto.

Più arduo sarebbe stato portare sullo schermo Vittorini e i suoi piccoli orfani. Non mancano i riferimenti al mondo del cinema di una volta, l’ingresso degli stabilimenti di Cinecittà, le statue dei colossi. Ricardo DeAngelis, direttore della fotografia argentino che ha lavorato con Torre Nilsson, Tristan Bauer, con il visionario Eliseo Subiela, con Aristarain, e ha fatto la fotografia anche degli altri film di Scherson, Play (2005) e Turistas (2009), dove riusciva a sintonizzare il sentimento di abbandono della protagonista con la cornice di un parco nazionale cileno, guarda Roma come avvolta dalla polvere dorata dei secoli, come se fosse già iniziato un Medio Evo prossimo venturo.

È l’anno cinematografico del Cile: Il futuro è stato premiato a Rotterdam, a San Sebastian ha vinto l’esordio Carne de perro di Guzzoni, Orso d’argento a Berlino a Paulina Garcia per Gloria di Sebastian Lelio candidato all’Oscar (esce il 10 ottobre), due film alla Sic a Venezia, Las niñas Quispe di Sebastian Sepulveda e Las analfabetas di Moises Sepulveda, Pesaro ha dedicato una personale a Lelio e ai giovani cineasti. Oltre al magnifico No I giorni dell’arcobaleno di Pablo Larrain ora in dvd. C’è quindi molto materiale non convenzionale da mettere in circolo, con soluzioni non scontate che facciano dialogare con la storia, la letteratura, l’immaginazione.