Una svedese in guerra (Solfanelli, pp. 192, euro 18) è la storia di un viaggio che ripercorre le tappe della realizzazione del film di Giuliano Montaldo L’Agnese va a morire. Tratto dal romanzo autobiografico della partigiana Renata Viganò, il film del 1976 è il primo lavoro cinematografico sulla Resistenza con una donna nel ruolo della protagonista.

QUESTO VIAGGIO può essere descritto come un percorso nello spazio, da Roma alla Romagna, e nel tempo. Tempo che ci riporta a quarantacinque anni fa, ai giorni della lavorazione del film e relativi ricordi di chi ha preso parte a quell’esperienza: Montaldo, i suoi collaboratori e gli attori, quelli che sono ancora fra noi e quelli che non ci sono più.

Massimo Recchioni, autore del libro e di diversi altri volumi dedicati ad argomenti connessi alla Resistenza, sale in macchina col regista genovese e la moglie di questi, Vera Pescarolo, e parte alla volta dei luoghi del film. Durante il tragitto gli occupanti dell’autovettura parlano dell’epopea del Neorealismo e della sua capacità di rinnovare il cinema rappresentando passioni e aspettative sociali dell’Italia uscita dalla guerra. Parlano anche della carriera di Montaldo, prima attore e poi regista. Nel libro si menziona la sua cura al mantenimento della coscienza storica com’è dimostrato in diverse sue opere, tra le quali Sacco e Vanzetti (1971), Giordano Bruno (1973) e, appunto, L’Agnese va a morire.

Il volume è il racconto di un viaggio, si diceva, che però va oltre il percorso autostradale su quattro ruote, pur caratterizzato da discussioni sulla Resistenza e su quanto è stato fatto in seguito, in termini artistici e culturali, per conservarne la memoria e il messaggio. Esso, infatti, prosegue anche quando i protagonisti di questa avventura nel tempo e nello spazio giungono a destinazione. È là che l’autore del libro mette insieme una serie di testimonianze che si aggiungono a quelle del Maestro e di Vera Pescarolo.

SI PARTE DA VIGANÒ di cui viene tracciato il profilo di partigiana e scrittrice, anima inquieta di un tempo terribile in cui occorreva fare una scelta magari anche per dare un senso alla propria vita. Si prosegue con i «Ricordi sfumati dal tempo» suscitati dalla visita alla «Casa di Agnese», di quel personaggio ruvido e fin troppo vero, forte su quella sua bicicletta, incapace di leggere e scrivere ma combattente fino al sacrificio della sua stessa vita. L’inserto iconografico presente nel libro comprende, infatti, la foto della scena in cui Agnese viene uccisa da un ufficiale delle SS.

I ricordi e le testimonianze fluiscono e riempiono pagine: esse assumono anche la forma dei racconti di chi ha lavorato nel film come attore: Rosalino Cellamare, Alfredo Pea e Ninetto Davoli. Di chi c’è ancora e di chi se n’è andato come Stefano Satta Flores e Ingrid Thulin, attrice svedese, una delle preferite di Ingmar Bergman. Era convinta di poter svolgere in modo impeccabile il ruolo della protagonista del film. «Queste sono le mie mani, questi sono i miei piedi. Io sono Agnese», aveva detto a Montaldo. Mani e piedi grandi come quelli di Agnese, grandi come il suo coraggio e la determinazione nel combattere i nazifascisti. Nel racconto di questo percorso non manca un’appendice dedicata al Maestro Ennio Morricone, autore delle musiche di Agnese va a morire e di altri film di Montaldo.

DAL LIBRO TRASPARE il rapporto empatico stabilitosi fra il suo autore e il Maestro che Massimo Recchioni considera protagonista di quel cinema che non c’è più e il suo film sulla partigiana Agnese come una sorta di ritorno al Neorealismo. Il tutto in un tempo difficile caratterizzato dai tentativi insidiosi di un revisionismo storico purtroppo tuttora in atto.