L’ecologia come forma compiuta di sensibilità e al contempo di letteratura ha avuto negli autori americani del XIX secolo i primi veri esploratori moderni. Ralph Waldo Emerson, Henry David Thoreau, Walt Whitman, John Muir rappresentano un patrimonio che ha seminato a fondo e continua ad alimentare nuove generazioni di figli e figliastri. Di certo è stata una delle vene originali della nuova letteratura americana che ha invaso anche gli scaffali delle librerie europee e influenza molti nuovi e meno nuovi autori. Lo abbiamo già espresso e qui lo ribadiamo: in un’epoca di dismissione e di cedimento delle ideologie che hanno governato il pensiero contemporaneo, la una ricerca di spiritualità autentica e un rinnovato tentativo di riconciliazione dell’umano con la natura conservata e risparmiata, rappresentano le due visioni del mondo che troveranno sempre più discepoli. Se poi queste due weltanschauung si intrecciano l’un l’altra si può arrivare al sublime. E di certo fra quegli autori che abbiamo la fortuna di poter ancora ascoltare dal vivo c’è il poeta Gary Snyder, a suo modo già santificato in vita, a molti noto come Poeta laureato del Selvatico. Un cantore della wilderness, termine intraducibile, che non è soltanto selvatichezza, non è soltanto natura selvaggia, ma molto di più.

Alla lettura delle sue poesie bisogna abbinare l’evoluzione e l’illustrazione del suo pensiero eco-letterario, e a questo scopo consigliamo un libro davvero prezioso, ben curato da Giuseppe Moretti, pubblicato da Mimesis (Milano): Nel mondo poroso. Saggi e interviste su luogo, mente e wilderness. Non è la prima selezione di scritti del pensiero pubblicata in Italia, e penso all’intenso Ritorno al fuoco. Ecologia profonda per il nuovo millennio (Coniglio Editore) e a L’isola della tartaruga (Stampa Alternativa), ma probabilmente è il volume che consente di captare le diverse propaggini della percezione di Snyder. Anzitutto apprezzo le monografie che abbinano interviste e saggi, due forme distinte ed egualmente interessanti di far parlare l’autore, di far emergere il proprio pensiero, l’autenticità della voce. Poi ci sono alcuni versi, come la poesia che congeda il lettore, Alle cascate di Frazier Creek: «Questa terra viva che scorre / è tutto quel che c’è, per sempre // Noi siamo lei / lei canta attraverso noi – // Potremmo vivere su questa Terra / senza vestiti o attrezzi!». E qui scatta una lamentatio non petita: com’è possibile che manchi in Italia una selezione del percorso lirico di un poeta noto in tutto il mondo? Ma passiamo oltre.

Snyder scrive che esistono due tipi distinti di conoscenza: una è quella che «ti radica e ti colloca nella tua situazione», la si vive abitando, frequentando, vivificando la cultura, ossia quella forma di comunità che unisce gli uomini, o dovrebbe unirli; l’altra invece «deriva dallo spingersi oltre i confini», quel cercare un significato che vada oltre il dato, il quotidiano, l’utile. Questa seconda forma di conoscenza è quella che nutre, spinge e motiva i poeti a cercare quel qualcosa che non è ancora stato scritto o detto, in quel determinato modo, e i musicisti, gli artisti, quanto i religiosi, gli spiriti contemplativi. Un luogo lo puoi vivere come un ospite oppure lo puoi abitare e sono due vie distinte: nella prima ti limiti ad occupare, nel secondo ti fai parte stessa di quel luogo, ne diventi un carattere, ti fai attraversare quanto attraversi, ovvero ne assaggi la porosità, la permeabilità, come si spiega nel saggio che attribuisce titolo al volume. Etnopoetica, scrittura innaturale, intercettare l’uomo naturale, note sulla poesia come tecnica di sopravvivenza ecologica, prospettive bioregionali, tutti saggi e interviste fondanti, che andrebbero fatti leggere ai nostri ragazzi nei licei, quanto a chi si avvicina alla natura per lunghe camminate, per viaggi a piedi di più giorni, una sorta di Vangelo del Selvatico, utile per le nostre anime e per fertilizzare lo spirito indomito e cercatore che ci abita, in questo primo tratto di nuovo millennio.