Benedetto arrivava in redazione di buon mattino quando le stanze sono silenziose e si può scrivere in pace, parlare con tranquillità ai collaboratori per organizzare le pagine culturali che chiudono per prime. Magari per fermarsi poi fino a tarda sera perché qualche grande boss della Silicon Valley aveva appena aggiunto un tassello al mosaico dell’intelligenza artificiale. Oppure semplicemente perché capitavano anche due, tre riunioni nello stesso giorno, specialmente quando si avvicinava la scadenza del Bilancio della Cooperativa.

Benedetto Vecchi è stato il presidente, di nome e di fatto, del Cda, negli anni difficili dell’amministrazione controllata, dal 2013 fino a pochi mesi fa.

A lui la nostra impresa deve moltissimo. Come mente e braccio di tutta la complessa macchina burocratico-amministrativa che dirigeva neanche fosse nato per quel mestiere (che invece aveva imparato con tenace pazienza meglio di tutti).

Benedetto era un uomo di buon carattere e di grande cultura, un compagno e un amico, come quei fratelli che ci sono sempre quando c’è qualche grossa grana in famiglia e in un collettivo come il nostro stiamo parlando di quotidiana normalità.

Lui, che era approdato al manifesto agli inizi degli anni ’80, dopo la stagione politica del 77, come esperto di informatica, in punta di piedi aveva iniziato anche a scriverne con brevi articoli di informazione sulla complessa materia digitale. E da allora non si era più fermato, ampliando i suoi interessi, diventando una persona colta, di inesauribile curiosità intellettuale, scrivendo di marxismo, sociologia, movimenti, comunicazione, economia digitale, capitalismo delle piattaforme, e dunque analista e critico dell’intelligenza artificiale che produce l’automazione delle mansioni cognitive creando una strutturale disoccupazione di migliaia di lavoratori.

Ne parlava, ne discuteva, ne scriveva avendo come assillo l’incontro di queste frontiere con la politica come unico antidoto per non limitarsi alla diagnosi della tecnoutopia del machine learning.

Divoratore di libri e firma autorevole di articoli e saggi, Benedetto non ha mai smesso di lavorare, anzi. Da quando aveva iniziato a combattere contro la cattiva sorte, il suo impegno si era persino moltiplicato. Del resto basta uno sguardo alla sua scrivania ricolma di volumi per cogliere la voracità di pensiero che lo contraddistingueva.

Rosso e esperto delle sue materie, mai supponente anche quando si cimentava con i massimi sistemi, sempre con i piedi ben piantati a terra, nella concretezza dei problemi sociali come della nostra comune cooperativa. Questioni molto pratiche, fondamentali per il buon funzionamento dell’impresa manifesto.

Non più tardi di un paio di settimane fa, prima delle feste natalizie, Benedetto era in via Bargoni, stava scrivendo un paio di recensioni, aveva appena finito un saggio per Derive&Approdi sul nesso tra Rivolta e Rivoluzione.

Come sempre quando veniva in redazione, prima di salutarci, abbiamo parlato del futuro del giornale, dei 50 anni del manifesto da organizzare il prossimo anno, proiettato dunque nel futuro prossimo, nonostante tutto.

Si dice sempre che se ne vanno i migliori, ma nel caso di Benedetto è proprio così, perché le sue riflessioni e il suo contributo teorico non è sostituibile come non sarà facile neppure venire a capo dei nostri problemi quotidiani senza la sua saggezza e il suo equilibrio di uomo gentile, che non alzava la voce, qualità mai abbastanza apprezzata.

Caro Benedetto ci mancherai moltissimo, ma questo lo sai bene, mancherai agli amici, alla tua famiglia, alle tue sorelle, e soprattutto alle tue ragazze, Laura, compagna di una vita e Marianna, giovane figlia con i tuoi occhi.