Vado a vedere i tre murales di Blu, lungo la via Ostiense, come si farebbe coi Caravaggio nelle chiese del centro. Blu è uno street artist italiano. È nato a Senigallia, ha poco più di trent’anni. Sta sui muri di Bologna dove ha cominciato, e ha frequentato l’Accademia, il giro dei centri sociali, i graffitari fine anni ’90. Sta in Spagna, Portogallo, Palestina, in Sudamerica. A Niscemi dove, lo scorso maggio, durante le manifestazioni no Muos, ha affrescato un grande muro cadente col megafumetto della battaglia tra un mostro-antenna robotizzato e un dettagliatissimo esercito di popolo. Blu è uno dei dieci street artist «più influenti» al mondo, secondo la vecchia classifica pubblicata dal Guardian che viene citata ogni volta per ammorbidire il codice di segretezza che avvolge i protagonisti di questa pratica. Certamente atletica, sicuramente politica, e pure un poco criminale a norma dei regolamenti sul decoro urbano.

Da qui il segreto. Ma tutto è relativo, come vedremo. All’incrocio con via del Porto Fluviale enormi teste colorate che coprono l’intera facciata dell’ex magazzino dell’Aeronautica militare, occupato. Un maniero vagamente carcerario, coi finestroni larghi e bassi, e il tetto curvo di un hangar che si distingue dietro il muro di cinta sotto il cavalcavia della ferrovia. Una testa è fatta di banane, un’altra di foglie, un’altra ha il colore blu del mare e ospita dentro il cranio un’arca della salvezza. Un diavolo rosso e terribile le sovrasta. Minatori col martello pneumatico frugano dentro il cervello. E tutte le teste hanno per occhi i finestroni della facciata, con effetto tipicamente marziano; raccontano le storie e i pensieri di chi abita là dentro: ottantacinque famiglie immigrate dal Sudamerica e dal Nordafrica, una delle occupazioni abitative più lunghe e tenaci della città nonostante progetti di ristrutturazione e sgombero lungamente annunciati, mai fin qui neppure cominciati.

In uno dei rari quadranti ex industriali della capitale, ristrutturazione è ancora un concetto vago e molto confuso. Si combatte quasi strada per strada: pizzerie alla moda contro finti ristoranti giapponesi contri veri negozietti cinesi, loft per uffici affittasi. I Mercati Generali dietro l’angolo, incartati come una mozzarella in attesa della ristrutturazione di Rem Koolhas, i due grandi gazometri gioia del fotografo della domenica, specie se inquadrati dal nuovo ponte bianco per Garbatella. Con Eataly e la stazione di Italo duecento metri più su. Il traffico spesso inestricabile che incombe agli incroci, nell’attesa.

Per settimane lo street artist si è appeso indisturbato e silenzioso a una corda come un ragno sulla sua ragnatela, manovrando un rullo attaccato ad un asta telescopica. Solo dopo l’uscita di un infelice articolo della cronaca romana di Repubblica, nel quale vigili urbani e negozianti della zona si interrogavano in toni mica tanto amichevoli sulle gesta del misterioso «imbianchino» e sul futuro dell’occupazione, Blu ha cambiato aria e da un po’ non si fa vedere. Qualcuno l’ha segnalato in Spagna. Tornerà, non c’è dubbio. L’aria di attesa che si respira in questi giorni davanti al palazzo occupato (che ha un nome, si chiama Fronte del Porto) è il vero motivo di questo itinerario.

Oltretutto, grazie all’interessamento del Municipio da sempre di sinistra, la zona sarebbe graffiti-friendly: in poche decine di metri sotto i cavalcavia della ferrovia se ne vedono di belli e recenti, come una piccola galleria a cielo aperto. Ma Blu è un’altra cosa. Ha dipinto i muri della Tate Gallery e del Museo d’arte contemporanea a Los Angeles (perché gliel’hanno chiesto, ma siccome le bare dei soldati coperte da fogli di dollaro un po’ li turbavano, hanno cancellato tutto con una sola mano di bianco). I suoi graffiti animati, straordinari per tecnica e inventiva, corteggiati senza successo da ogni festival di cinema del globo, raccolgono su Youtube milioni di contatti. Blu non ama comparire, non rilascia interviste. La ricca documentazione fotografica sul suo sito internet lo riprende a volte di spalle, con la testa coperta da sciarpe e cappello. I critici citano per lui Robert Crumb, l’anti-architetto Matte Blanco, certi affreschi medievali. Le opere parlano per lui, ripete, con l’evidenza di chi – politicamente parlando – ha pochi dubbi sulla parte giusta.

La segretezza di Blu, dicevamo, è del tutto relativa. Nei posti che affresca – e te lo raccontano gli abitanti che lo accolgono in breve come uno di loro – vive tutto il tempo necessario, con interesse e gentilezza. Cerca di interpretare l’atmosfera, i pensieri, le vibrazioni. I romani conoscono bene il brutto e cadente palazzone di vetro accanto ai vecchi Mercati Generali, dove si vanno a pagare multe, ganasce e altre fastidiose incombenze. Lì, giusto dalla parte opposta di via Ostiense, Blu ha dipinto la facciata di una palazzina abbandonata dall’Acea, occupata dal centro sociale Alexis. Una curiosa girandola di macchine incatenate l’una all’altra, fissate a un grande lucchetto, sul fondo di bel giallo brillante. E questo è il suo secondo murales nella zona. Risale alla fine del 2012, poco dopo aver finito delle sue opere più bizzarre e originali di tutte: la facciata del centro sociale Acrobax, il piccolo edificio rettangolare che segnava l’entrata al vecchio cinodromo.

Ma bisogna proseguire su via Ostiense, superare la basilica di San Paolo, attraversare viale Marconi verso il Tevere e un lunare parcheggio asfaltato, vuoto se si esclude un nuovo campo da basket, per arrivare davanti alla recinzione di lamiere («motivi di sicurezza», mi spiegano), che nasconde e rivela il clamoroso trompe l’oeil che finge una facciata barocca tutta sui toni del grigio, con nicchie, colonne e absidi ridisegnate con ingegno sulle vecchie ondulazioni decorative dell’edificio. Qui Blu mette in riga ogni possibile rappresentazione del potere: la polizia, la finanza, la chiesa, la politica, i militari, le società segrete. Inventa fregi e icone, piccole battute di spirito con innato senso del fumetto. E ironia necessaria nei confronti della monumentale e ultrakitsch facciata di San Paolo, lassù in alto, coi colonnati e i grandi mosaici perduti, tutti ricostruiti in stile bizantino.