Non è ancora chiaro come il virus sia capitato tra le villette di Vo’, tremila anime a trenta chilometri da Padova. Fatto sta che in questo piccolo comune del padovano viveva Adriano Trevisan, la prima vittima italiana del Covid-19. La zona rossa dichiarata contemporaneamente al lodigiano qui è stata persino più crudele perché ha chiuso i residenti in venti chilometri quadrati, un’enclave da cui non è entrato né uscito nessuno per due settimane. Quando tutto il nord è diventato zona rossa e la gente si affrettava tra treni e supermercati, a Vo’ festeggiavano in strada la rimozione dei blocchi stradali sulla provinciale. Nessuno in paese cercava la celebrità. Ma la particolarissima situazione del piccolo comune potrebbe portare qui un altro primato: quello del principale laboratorio vivente al mondo in cui studiare il coronavirus.

L’infettivologo Andrea Crisanti, con una cattedra a Padova e una all’Imperial College di Londra, ha capito che Vo’ era una specie di Truman Show, una comunità chiusa in cui studiare la trasmissione del virus e le migliori tattiche per combatterla. Ha sottoposto al test per il coronavirus tutti gli abitanti che, volontariamente, si sono prestati all’esperimento fornendo dati personali e altre informazioni sensibili, oltre alla saliva del tampone. «La raccolta dei dati è già stata completata», spiega Crisanti. «È stato un successo di partecipazione. Vo’ Euganeo ha 3.100 abitanti e all’esperimento hanno partecipato 2.950 volontari, cioè il 95% della popolazione». Un’indagine così approfondita su un’intera popolazione non è stata fatta nemmeno in Cina.

Difficile trovare un paese isolato, delle dimensioni abbastanza piccole perché uno studio del genere possa essere realizzato a tappeto in tempi brevi ma sufficienti per fornire dati riproducibili altrove. «A Vo’ era stata creata una situazione davvero unica», continua il ricercatore, «il governatore del Veneto Zaia, dopo il primo caso, aveva ordinato di fare il tampone a tutta la popolazione. Dunque avevamo una fotografia della situazione all’istante “zero”. Facendo il test a tutti abbiamo identificato moltissimi portatori sani del virus, che sono stati messi in isolamento. E ora abbiamo ripetuto il test a tappeto».

Avremo la fotografia “prima” e “dopo”: e cosa ci faremo? «Saremo in grado di stabilire se le strategie di contenimento adottate a Vo’ hanno funzionato», risponde Crisanti. «Se noi scoprissimo che non ci sono infetti, vorrebbe dire che quello che è stato fatto a Vo’ andrebbe ripetuto a tappeto in tutta Italia. Abbiamo appena iniziato ad analizzarli e presto avremo i risultati».

Non si tratta di capire soltanto chi è infetto e chi no, ma anche come si diffonde il coronavirus. «Abbiamo una densità di informazioni notevole», spiega. «Conosciamo le relazioni familiari tra le persone, dove vivono, che mestiere fanno, i sintomi che hanno e le malattie pregresse. Si tratta di una prima a livello mondiale di uno screening così approfondito». Oltre a monitorare la progressione dell’epidemia, lo studio aiuterà anche nella prevenzione. «Certo, potremo capire se nella popolazione che si è infettata ci sono categorie più a rischio di altre. Per esempio: ci sono malattie concomitanti che rappresentano un pericolo maggiore? Ci sono professioni più a rischio?».

Sono dati su cui vorrà mettere le mani qualunque epidemiologo al mondo. Ma qualche elemento si può già osservare. «I contagiati a Vo’ sono quasi tutti asintomatici, come se le misure di contenimento lo avessero reso meno pericoloso. Il confronto con la Lombardia è impressionante».