«I cambiamenti climatici colpiscono soprattutto i poveri e gli affamati», ha ricordato la Fao alla Cop21 di Parigi. Un recente studio dell’organizzazione mostra che nei paesi in via di sviluppo siccità, inondazioni, tempeste e altre catastrofi innescate dai cambiamenti climatici sono aumentane d’intensità e frequenza negli ultimi tre decenni. Circa il 25% dell’impatto economico negativo delle catastrofi colpisce i settori dell’agricoltura, dell’allevamento e delle foreste.

I popoli indigeni e tribali sono i più esposti, soprattutto nei paesi in cui non hanno trovato una vera rappresentanza. I nativi abitano circa l’80% delle zone più ricche di biodiversità al mondo e le loro riserve sono una cruciale difesa contro la deforestazione. Pur essendo i meno responsabili per quel riguarda il riscaldamento globale, gli effetti del cambiamento climatico mettono a rischio la loro stessa sopravvivenza.
In vista di Parigi, in ottobre le organizzazioni indigene hanno avanzato le loro proposte nel Vertice mondiale dei popoli di Tiquipaya, in Bolivia. Proposte trasmesse a Parigi dai governi socialisti dei paesi dell’Alba. Al centro, il tema della giustizia ambientale e della riparazione.

Così, il presidente ecuadoriano Rafael Correa, alla Cop21 ha annunciato come «principale proposta» contro il cambio climatico la creazione di una Corte internazionale di giustizia ambientale per proteggere i diritti della natura. «Ascoltami, pianeta – ha detto Correa – niente, assolutamente niente giustifica che esistano tribunali per proteggere gli investimenti, per pagare debiti finanziari, e che non ve ne siano per proteggere la natura e costringere a pagare i debiti ecologici». Quella che impera – ha aggiunto Correa – è «la logica perversa per privatizzare i benefici e socializzare le perdite a scapito della natura».

Per questo, il leader ecuadoriano ha proposto un trattato mondiale che dichiari le tecnologie capaci di limitare il cambiamento climatico come beni comuni globali, e che ne garantisca il libero accesso. Altrimenti – ha detto ancora citando il dialogo tra Trasimaco e Socrate – «la giustizia è l’utile del più forte».

Una delle principali questioni, infatti, è chi e come debba contribuire al fondo di 100 mila milioni di dollari annuali che, per una decisione presa al vertice di Copenhagen del 2009, deve essere versato ai paesi in via di sviluppo a partire dal 2020: affinché abbiano accesso alle tecnologie più pulite, riducano la deforestazione e possano proteggersi dagli effetti del cambiamento climatico provocato soprattutto dai paesi sviluppati.

Senza appello anche l’atto d’accusa del presidente boliviano Evo Morales, a Parigi per chiedere il riconoscimento della Madre Terra come soggetto di diritti. «La Madre Terra sta pericolosamente avvicinandosi al crepuscolo del suo ciclo vitale – ha detto – la cui causa strutturale e responsabilità risiede nel sistema capitalista. Se continuiamo sul cammino tracciato dal capitalismo, siamo condannati a scomparire».
Le responsabilità principali sono di quei paesi che promuovono un modello predatorio: «Non possiamo mantenere un silenzio complice di fronte a questa catastrofe di proporzioni planetarie e a un modello che ha introdotto e favorito la formula più selvaggia e distruttrice della nostra specie, trasformando tutto in merce a vantaggio di pochi», ha detto ancora Morales. Che alla Cop21 ha poi presentato le conclusioni del Vertice dei popoli di Tiquipaya racchiuse nel manifesto «Salvare la Madre Terra, salvare la vita».

Ma da quell’orecchio i grandi inquinatori fingono di non sentire. E per questo la popolazione di un piccolo villaggio dell’Amazzonia ecuadoriana (1.200 persone) ha deciso di recarsi a Parigi. Senza troppe illusioni, vista l’andatura del vertice e il non-riconoscimento del loro ruolo di attori principali nella difesa contro le politiche estrattive e nel mantenimento delle selve tropicali: ma con la consapevolezza che fosse meglio esserci che non farsi vedere.

La maggior parte delle organizzazioni indigene latinoamericane, però, è rimasta nei propri paesi. Quelle venezuelane hanno presentato le loro proposte in campagna elettorale attraverso i propri rappresentanti (verranno eletti 3 deputati indigeni su un totale di 167 ). In Venezuela, le popolazioni native pesano sulle decisioni che riguardano i loro territori e l’eco-socialismo è un punto imprescindibile del programma strategico del governo bolivariano. In tutta l’America latina che scommette sul Socialismo del XXI secolo, è forte il rigetto per i segretissimi accordi conclusi da Washington nell’ambito del Tpp. Per questo, in parallelo al vertice di Parigi, si è manifestato in Perù, in Colombia, in Messico, in Cile… In Honduras, la polizia ha distrutto una strada, ma i rappresentanti del Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (Copinh) l’hanno rimessa a posto, e la marcia indigena contro il progetto idroelettrico Agua Zarca nel fiume Gualcarque è proseguita.

E all’università di Buenos Aires, in Argentina, dall’1 al 3 dicembre si svolgerà un incontro internazionale latinoamericano di Comunicazione contadina indigena dal titolo «Territori in movimento», voci molteplici. Il 5 dicembre è prevista una manifestazione in relazione ai contenuti di Parigi. Per gli indigeni del sud del mondo, la consegna è univoca: «Cambiare il sistema per cambiare il clima».