«Contiamo di arrivare alla ratifica globale del trattato sulla messa al bando delle armi nucleari entro il 2020 e sono fiduciosa che l’Italia farà la sua parte». Susi Snyder, di professione manager del disarmo nucleare, è a Roma per una conferenza in Vaticano. E pur non nascondendo i rischi di una nuova escalation, è combattivamente ottimista. La incontriamo in un bar di Borgo Pio con la ricercatrice britannica Elisabeth Minor e Francesco Vignarca della Rete Disarmo, anche loro del board della rete Ican, premio Nobel per la Pace 2017 per aver ottenuto l’avvio della firma del nuovo trattato. Un’occasione per fare il punto della situazione «rischio estinzione atomica».

Perché, è bene ricordarlo, non di sola disattenzione al clima può morire la Terra. E tutta l’architettura globale per il controllo reciproco tra le due grandi potenze della Guerra fredda ha subìto un processo di smantellamento a opera dell’ormai ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Donald Trump, John Robert Bolton. Al momento di quella struttura di precario equilibrio per evitare il tasto «fine del mondo» del dottor Stranamore resta solo l’ultimo tassello: il trattato New Start che scadrà nel 2021. Mentre si torna a investire pesantemente nell’ammodernamento dei vecchi arsenali, tanto che la Commissione Bilancio del Congresso Usa stima in 77 miliardi di dollari il fabbisogno pluriennale per ammodernare le testate risalenti per lo più agli anni ’50 e ’60 e metterle in comunicazione con i sistemi satellitari e i caccia stealth F35.

L’ultimo rapporto dello Stockholm international peace research institute (Sipri) stima che esistano quasi 14mila ordigni atomici in nove Stati (di cui 3.700 schierati e operativi), in grado di distruggere varie volte la vita sull’intero pianeta, e quattro di queste potenze nucleari – Cina, Pakistan e India attualmente in tensione per il Kashmir, Israele, Corea del Nord – non sono mai entrate a far parte dei controlli anti proliferazione imposti dai trattati. Ma in un mondo dove i rischi per le popolazioni vengono da cyber-attacchi, armi biologiche, killer robots, abolire le bombe atomiche è ancora l’obiettivo principale per la pace?

«La deterrenza nucleare non funziona più – risponde Snyder – Va eliminata. La deterrenza significa se tu uccidi me, io uccido te ma a certe regole. Ciò che l’opzione nucleare introduce è la prospettiva di un attacco indiscriminato verso le popolazioni civili, una logica oggi ancor più inaccettabile, che vede come protagonisti gli Stati. Implicava un legame molto stretto con la struttura politica in un’epoca più bipolare, come si vedeva nella linea rossa telefonica tra Cremlino e Casa bianca. Le armi di nuovo tipo hanno diversi tipi di utilizzo e il concetto stesso di deterrenza va superato».

È realistico pensare che si arrivi alla ratifica del trattato Tpnw dopo che gli Usa hanno denunciato quello Inf sui missili a medio raggio e con gli attuali venti di guerra con l’Iran? «Anche negli anni ’80 c’erano investimenti di miliardi di dollari negli Usa come nell’Urss per il nucleare bellico ma la pressione internazionale fermò quella corsa al riarmo. E quando Bolton ha detto di voler mandare in soffitta il multilateralismo denunciando il trattato Inf e l’accordo con l’Iran, grandi industrie come Boing, Lockheed Martin e Raytheon avevano già in tasca contratti da centinaia miliardi di dollari, a fine 2018. Ma anche senza Inf ad esempio l’Italia ha detto che non accetterà altri euromissili. E ciò ha grandi implicazioni, perché quando c’è un investimento a rischio la finanza si ritira. Le industrie produttrici di armi guadagnano solo al primo contratto, grazie all’effetto annuncio che fa schizzare le loro quotazioni, perciò hanno bisogno di continui annunci e di un clima di perenne minaccia. Oggi le banche giapponesi hanno già iniziato a ritirarsi da questi investimenti».

A che punto è la ratifica? «Oggi abbiamo la firma di 79 Stati – risponde Minor – e 32 ratifiche delle 50 necessarie. Abbiamo fatto progressi. Ma il nuovo trattato, anche prima della ratifica, potrebbe prevedere l’accesso a un quadro di regole di aiuto a popolazioni che hanno sofferto a causa di bombardamenti o test nucleari. L’ingresso soft in questa rete può interessare il Giappone, ma anche l’Australia e l’altro mese hanno già aderito Kazakistan e isole Kiribati. Se l’Italia facesse intanto questo passo, sarebbe già importante».

C’è un’interlocuzione con il nuovo governo giallorosso? «Abbiamo inviato ai parlamentari una lettera di appoggio al bando Onu, facendo notare che nella scorsa legislatura anche Luigi Di Maio ci appoggiava e che nei sondaggi il 70% degli italiani vuole la ratifica – riferisce Vignarca – E due giorni fa 14 senatori del M5S ci hanno risposto tra cui il presidente della Commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli, il capogruppo Gianluca Ferrara, la vice presidente della Commissione Difesa Daniela Donno».