L’urgenza di raccontare il presente è una delle direttrici verso le quali è andata Primavera dei teatri in questi venti anni. Organizzato nella cittadina alle pendici del Pollino da Scena Verticale, compagnia di Dario De Luca e Saverio La Ruina, che ne sono anche i direttori artistici, il festival raccoglie esperienze sceniche nazionali allineandole a quelle calabresi, tanto penalizzate dalla mancanza di occasioni, in un territorio che resta una delle zone europee più depresse non solo a livello culturale. E sono sempre più frequenti i rapporti internazionali che Primavera alimenta proprio per lanciare il teatro calabrese fuori dai confini regionali.

QUESTA DUPLICITÀ di sguardo, locale e internazionale, il sapersi guardare dentro e proiettare fuori la visione con il coraggio delle proprie emozioni e della propria memoria è stato un punto di forza anche in questa ventesima edizione. Otto giornate piene di debutti, laboratori, incontri, sparsi per Castrovillari e dedicati a Stefania Fortino, morta tragicamente mentre era impegnata con Scena Verticale nei primissimi anni del festival. E con Lo psicopompo lo stesso De Luca affonda le mani nella morte, nella sua «accezione» più discussa e, in Italia, negata: l’eutanasia. Un tabù da cui scaturisce la confusione mediatica di questi giorni sul caso Noa Pothoven, la giovane olandese che si è lasciata morire di fame e di sete accompagnata dai genitori.

PRESENTATO a Cosenza, in una delle ventisette strutture di Bocs Art- sorta di villaggio destinato a residenze artistiche sulle sponde del fiume Crati, a un passo dal centro storico – in coppia con una misurata Milvia Marigliano, l’autore-regista si cuce addosso il meditabondo personaggio del traghettatore, svuotandolo da ogni riferimento mitologico e religioso. Con lucida laicità si chiude all’interno del box e avvia una tragedia quasi sussurrata, davanti a sessanta spettatori dotati di cuffie che siedono all’esterno. Pulitissimo il suono, affidato a Hubert Westkemper, rilancia il dialogo dai toni pacati e familiari tra una donna sana che vuole morire e suo figlio.

Ancora la morte è protagonista con la prova di Roberto Latini, In exitu, doloroso canto di Giovanni Testori. Nell’ultimo testo, dei giorni in cui stava morendo, l’autore solleva il velo sulla fine di un tossico, immerso nella nebbia milanese e in quella della sua mente. Un flusso di parole sporche e sibilanti, incessante e penetrante, che l’attore romano consegna con istrionica pudicizia. Accompagnato dalle musiche di Gianluca Misiti, fa male allo stomaco vedere Latini aggirarsi traballante, con un bastone microfonato, sui materassi a molle piazzati per tutto il palcoscenico e fermarsi a un tratto, in una drammaturgia del gesto che prende la forma della crocifissione.

BELLA PROVA per Bartolini/Baronio con Tutt’intera. Il duo romano si è visto affidare il testo di Guillaume Poix, nella traduzione di Attilio Scarpellini, dal progetto Fabulamundi Playwriting Europe e ne ha fatto un’articolata messinscena alla ricerca di Vivian Dorothy Maier, governante e fotografa per vocazione. 150.000 pellicole, mai sviluppate, con scatti rubati per la strada, anche di se stessa riflessa in una vetrina con la sua Rolleiflex al collo, dagli anni 50 agli 80. Mescolano linguaggi, proiettano frammenti di foto mentre abitano una scena vivificata dalle luci di Gianni Staropoli.