Ha chiuso i Milleocchi martedì sera, ieri era a Milano, nello spazio di Macao, continuerà il suo tour italiano (19 settembre, Torino Museo del Cinema, 20 settembre, Genova Teatro Altrove, 22 settembre, Pescara Cinema Massimo 24 settembre, Bari Cineporto 26 settembre, Roma Titanik) grazie alla ostinata passione di Fulvio Baglivi e Donatello Fumarola che lo hanno portato in giro per la penisola un anno dopo la presentazione al Festival di Roma (CineMaxxi). Stiamo parlando di Zanj Revolution del regista algerino Tariq Teguia, uno dei registi oggi più potenti per la sua lucida capacità di interrogare la materia stessa del proprio fare, le immagini appunto. Dunque: come raccontare la rivoluzione, o meglio le rivoluzioni, quelle arabe e quelle di resistenza al ricatto delle banche e delle politiche europee nelle piazze greche? E i sassi lanciati dai palestinesi, e la storia che risale ai califfati opprimenti come nei deliri di Is o Isis che sia, contro i quali si leva la rivoluzionaria sapienza di uno schiavo africano che combatte per salvare l’amata, la principessa, dalla prigionia …
E farlo quando ogni istante è filmato, diffuso in rete, visto da infiniti occhi, pure se questo ci restituisce davvero la sostanza e la dolcezza di quell’essere rivoluzione? Teguia scompone, frammenta la narrazione, insegue strani personaggi per il mondo, si ferma tra i ragazzi greci che ballano e scrivono sui muri. Ci sono loschi figuri, la Cia, l’America, i trafficanti di armi, un tipo misterioso che si aggira per New York con la faccia di Amos Poe … E c’è una gallerista che a Beirut, dove arriviamo percorrendo quel medio oriente di «vera» rivolta, parla mentre alle sue spalle scorrono le immagini di Ici et ailleurs, la Palestina di Godard, in questo che è il più godardiano dei film visti negli ultimi anni, e non per emulazione. È come se il cineasta algerino ricominciasse da lì per sperimentare un cinema rivoluzionario, capace cioè di fare i conti col proprio tempo fuori dalle retoriche dimostrative – o banalmente ideologiche – e dentro a un pensiero.
Passando da Whitman a Khoury a Gramsci (oggi straordinariamente letto e amato tra le generazioni in piazza in Tunisia), dall’Iraq all’Afghanistan attraverso i luoghi della cultura millenaria distrutti oggi, Teguia compone una ballata commuovente sulla giovinezza, e sull’innocenza di un’utopia ancora possibile.
Questa rivoluzione si può raccontare soltanto da rivoluzionari, scardinando sicurezze e punti di vista, producendo così nuovi sensi. E arriva al cuore delle origini di un passato millenario del mondo, alla ricerca di un intreccio e del meticcio che è sempre vincente. In quel punto sospeso di storia e di presente c’è ancora uno Zenja, lo schiavo africano rivoluzionario, che col sorriso vuole resistere.