Al suo debutto narrativo con Quando un uomo cade dal cielo (traduzione di Tiziana Lo Porto, Sem, pp. 170, euro 15), Lesley Nneka Arimah tratteggia nei dodici racconti della raccolta una carrellata di giovani donne nigeriane in patria e nella diaspora, impegnate in tentativi di ricavarsi ruoli personali e sociali, in un mondo in rapida evoluzione e molto diverso da quello delle proprie origini e tradizioni culturali, mettendone in luce debolezze, difetti e lati oscuri. Alle prese con rapporti familiari e tra i sessi complessi e talvolta distruttivi, desideri di autorealizzazione, questioni di classe e razza, le storie di Arimah (nata in Inghilterra, cresciuta in Nigeria e trasferitasi ancora adolescente negli Stati Uniti) sembrano scandagliare le variegate sfaccettature della parabola personale dell’autrice, ma sconfinano nei momenti più inattesi nel realismo magico, varcando qua e là con assoluta naturalezza le soglie del fantasy e del soprannaturale.

La scrittrice sarà domani 20 giugno sul palco della Basilica di Massenzio, ospite del festival internazionale Letterature, in una serata dal titolo L’abbandono.

Le sue storie raccontano dello spossessamento delle donne da molti punti di vista, incluse le complicate dinamiche di amicizia e solidarietà, o al contrario rivalità e invidia femminile…
Le donne «navigano» in mondi dominati da uomini, mi interessa registrare come si relazionino o meno tra loro, come raggiungano o lottino per l’auto-realizzazione. Più una persona è lontana dalle strutture di potere, più complicato e articolato è il percorso che deve compiere per raggiungere il successo e la felicità. Le donne hanno territori più difficili da attraversare all’interno dei loro rispettivi gruppi sociali, ed è attraente analizzare il modo in cui vi si cimentano.

Quanto di personale c’è nell’esperienza di queste figure femminili?
Poco o niente. Non mi interessa scrivere storie autobiografiche quando c’è un territorio così vasto da esplorare e immaginare. Alcune protagoniste condividono la mia demografia, ma il parallelo finisce lì. Come autrice, è per me più proficuo inventare e immaginare che documentare. Questo risulta evidente nelle mie storie che tendono al fantascientifico e favolistico, ma è qualcosa che può estendersi anche a quelle ambientate nel mondo reale. La sfida di immaginare un’altra persona, la sua vita, le sue battaglie, i suoi momenti di quiete mi sostiene nell’atto creativo. E anche se non mi curo del fatto che diversi lettori possano ritenere che molto di quanto scrivo sia autobiografico, trovo comunque gratificante l’aver reso una storia in maniera così acuta da sembrare vera.

Tra tutte, la relazione madre-figlia è particolarmente esplorata, con inquietudine anche…
Ci sono così tanti modi in cui questa relazione si può manifestare che non penso di poter mai esser a corto di immaginazione nel descriverla. Una madre è di solito la prima persona con cui ci relazioniamo nelle nostre vite e l’arte ha sempre riconosciuto l’importanza di questo legame. Quel che faccio è esplorarlo ulteriormente. Cosa accadrebbe se nostra madre ci odiasse? O ci fosse indifferente? O ci amasse così tanto da non sopportare di lasciarci andare nemmeno in età adulta? Tutte queste situazioni potrebbero essere tese in diverse direzioni e offrire ampio spazio di azione e creazione.

La Nigeria è spesso considerata un prisma della miriade di esperienze dell’Africa contemporanea, nel bene e nel male, è così?
C’è sempre stato un tentativo di ridurre l’Africa a una singola narrativa rappresentativa, ma se prendiamo in considerazione tre romanzi africani contemporanei, o anche solo tre romanzi nigeriani (La vita segreta di Baba Segi e le sue mogli di Lola Shoneyin, tradotta in italiano da 66thand2nd col titolo di «Prudenti come serpenti»; Mia sorella il serial killer di Oyinkan Braithwaite, e Nigeriani nello spazio di Deji Bryce Olukotun), questi libri sono così diversi in quanto a soggetto, linguaggio, etica etc. che non avrebbe senso selezionarne uno come solo rappresentante del paese. Per estensione, sarebbe ingiusto che la Nigeria sopportasse la responsabilità di esemplificare il resto del continente, e sarebbe soprattutto ingiusto per il resto dell’Africa contemporanea essere oscurata e ignorata, soptando per una sola narrativa.

Alcuni dei suoi personaggi hanno poteri soprannaturali. Quanto la sua passione per la cosmologia africana, la fiaba e il racconto popolare attinge dalla sua famiglia o dai suoi diretti antenati?
Nessuna delle storie favolistiche mi è stata trasmessa dalla mia famiglia, temo di averle inventate tutte. La libertà della narrativa concede questa indulgenza immaginativa e sono sempre stata affascinata dal surreale. Molti scrittori si sono nutriti con la bugia che la scrittura «seria» sia quella realista, mentre il fantasy e il favolistico rientrano nel regno della bizzarria. Ma anche le fiabe – che noi riteniamo per bambini – hanno origini misteriose. Abbiamo sempre inventato ciò che non possiamo spiegare, filosofizzato sui desideri degli dèi per aiutarci a comprendere il nostro complesso mondo. La giurisdizione della fantasia può estendersi ad argomenti molto seri riguardanti la società e il mondo che ci circonda.
Intendo l’approccio favolistico uno strumento per esplorare la nostra umanità. Ad esempio, quando perdiamo qualcuno che amiamo, ci diciamo spesso: «Ah, se potessi avere un solo altro giorno con lui/lei!», con l’intento sottinteso che potremmo trarre il massimo da quel giorno. Ciò non si può esplorare in modo realistico ma nel racconto Seconde occasioni riporto indietro una madre morta come a dire: «Ecco a te il tuo ’giorno in più’, vediamo cosa ne farai».

Progetti per il futuro?
Non posso entrare nel dettaglio, ma sto scrivendo un romanzo di natura favolistica.
Mi piacerebbe per tutto il resto della mia carriera indulgere in maniera più approfondita su ciascuno dei temi che ho trattato in questi primi racconti (dai più manifesti ai miei interessi più reconditi, qui appena tratteggiati, come la tecnologia o il cambiamento climatico) e muovermi in mondi sempre diversi, esplorando la capacità di ricrearli attraverso la scrittura