Il comitato ristretto della commissione Lavoro di Montecitorio ha adottato ieri il testo unico per la riforma dei voucher, quello che dovrebbe permettere di evitare il referendum. Martedì verrà portato in commissione e il giorno stesso sarà fissato il termine per la presentazione degli emendamenti. Il testo è stato immediatamente applaudito dal ministro del Lavoro Poletti, ma così com’è non ha nessuna possibilità di essere approvato quando la legge arriverà al Senato. La relatrice Patrizia Maestri, Pd, assicura però che «non è un testo chiuso ma assolutamente aperto alle modifiche».

Come previsto la nuova normativa proposta non limita la possibilità di usare i buoni solo alle famiglie, e già basterebbe a rendere «di serie b» una serie di lavori, ma la consente anche alle aziende senza dipendenti. È il principale punto critico: dette aziende sono il 61% di quelle attive in Italia. Una simile riforma dunque continuerebbe a lasciare spalancate le porte per l’abuso dei voucher.

Ogni azienda potrebbe disporre dei buoni per 3mila euro l’anno. La penalizzazione per chi contravvenisse va da multe per una cifra tra i 600 e i 3600 euro sino all’obbligo di assunzione a tempo indeterminato. I percettori possono arrivare sino a 5000 euro in buoni ogni anno, ma solo da più committenti, essendo il tetto percepibile da un singolo committente di 2mila euro. I buoni saranno di due tipi diversi: da 10 euro per le famiglie, da 15 per le aziende, che dovranno avvalersi di giovani sotto i 25 anni, pensionati, disoccupati, disabili, ospiti delle comunità di recupero, stranieri Ue.

Immediata la replica di Susanna Camusso: «Si sta provando a depotenziare il referendum senza affrontare il tema. Non c’è la volontà di cancellare un altro strumento di precarietà. La data del referendum non è ancora stata fissata, ma le leggi vanno rispettate anche dal governo». Anche i comitati per il Sì insistono nel reclamare la data del referendum, segnalando che la melina del governo dura da 41 giorni, e hanno convocato una manifestazione in piazza del Popolo, a Roma, per il prossimo 8 aprile.

 

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In Parlamento i più fermi nel respingere al mittente la proposta sono stati i deputati di Sinistra italiana, che hanno allestito ieri un flash mob di fronte a Montecitorio, e i senatori dello stesso partito, che da giorni, a staffetta intervengono in aula al termine di ogni seduta per chiedere che la data della consultazione venga fissata. «Queste piccole modifiche sono buone solo a impedire il voto. I voucher devono essere aboliti», taglia corto Giorgio Airaudo.

Gli scissionisti dell’Mpd chiedono la stessa cosa. «Cosa bisogna fare? Fissare immediatamente i referendum», afferma Arturo Scotto. Sul fronte opposto, la stessa cosa vuole, in dissenso dal suo partito e dal governo, il centrista Maurizio Sacconi: «La rincorsa del Pd rispetto alla Cgil è ridicola. Così si cancellano i voucher senza dirlo. La politica abbia il coraggio virile del confronto di merito». Tradotto: sfidi il referendum. M5S segnala con soddisfazione il recepimento di molte sue proposte. Però non basta e la nota dolente, anche per il movimento di Grillo, è l’accesso ai buoni delle aziende senza dipendenti.

Ma non sono i No di Sinistra italiana, di M5S o della Lega a preoccupare il governo. E’ quello degli scissionisti del Pd. Senza i loro 14 voti l’approvazione della riforma a palazzo Madama è quasi impossibile, e anche nell’improbabilissima ipotesi che il governo dovesse farcela grazie al supporto di una parte dell’opposizione di centrodestra il risultato in termini di immagine, su un tema così delicato e sentito e con la cancellazione del referendum di mezzo, sarebbe catastrofico.

Quando la relatrice Maestri e il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano indicano la possibilità di modificare il testo unificato è soprattutto, e forse esclusivamente, a quel gruppo parlamentare di fresco conio che guardano. Senza una difficile intesa con la Cgil per Mdp si profila dunque una difficile scelta tra il sostegno al governo, e dunque la sopravvivenza della legislatura, e una rottura con la Cgil che farebbe calare subito un’ombra pesante sull’identità «di sinistra» del nuovo partito.