Se è vero che la protagonista dello Zauberberg, il complesso romanzo pubblicato da Thomas Mann nel 1924, è la malattia, quanto mai opportuno e interessante giunge ora il breve saggio di Vito Cagli (La medicina ne ’La Montagna magica’ di Thomas Mann, Armando Editore, pp. 79, euro 8,00) che, da clinico ormai ultranovantenne, prende in esame sotto diversi aspetti i tanti temi di carattere medico presenti nella Montagna magica mantenendoli, per quanto possibile, nell’ambito in cui erano stati collocati: il lettore ha così la possibilità di cogliere i loro nessi con il tessuto narrativo dell’opera. In altre parole: l’autore ha effettuato una «lettura medica» del romanzo dalla quale ha cercato di far emergere «tutte quelle circostanze che hanno a che fare con la medicina. Una medicina, però, intesa in tutta la sua molteplicità di aspetti, non solo tecnici ma anche storici, filosofici, psicologici e antropologici». Il risultato è costituito da uno studio attento e gradevolissimo, in cui vengono analizzati anche altri testi di Mann che affrontano il tema della malattia e della cura e dal quale emerge, in primo luogo, come quest’ultimo abbia saputo descrivere ogni situazione medica con una precisione tecnica che – in un narratore – appare nel contempo inusuale e pregevole. La malattia, si diceva, che si manifesta sia in qualità di creatrice di valori spirituali sia alla stregua di anarchia e degenerazione.

NEL ROMANZO – ambientato in un sanatorio, il Berghof, situato tra le montagne dei Grigioni nei sette anni che precedettero lo scoppio del primo conflitto mondiale – la patologia viene presa in esame principalmente sotto tre aspetti: ci si chiede anzitutto se possa costituire una possibile via alla conoscenza; in secondo luogo, se e in quale modo sia in grado di modificare gli atteggiamenti psicologici del malato e quale ausilio – per meglio comprendere questi ultimi – possa essere fornito dal pensiero di Freud; riguardo alle questioni più propriamente mediche, infine, ci si domanda in quale misura le idee e le valutazioni espresse da Mann siano in accordo con la letteratura scientifica dell’epoca.

PER RISPONDERE agli interrogativi appena sollevati, occorre mettere subito in rilievo come la malattia tenda a creare un mondo a sé come fa a sua volta il sanatorio, un luogo capace di catturare chiunque vi giunga mediante un «incantesimo» da cui l’eventuale vittima non riuscirà a liberarsi facilmente. Riguardo poi alla dimensione temporale, va notato come il tempo si dilati fino a diventare «sospeso» perché, a «sospendersi», è la vita: il malato si consegnava alla cura in tutta la propria interezza, veniva cioè completamente sequestrato dalla malattia e il trattamento gli imponeva limitazioni che sarebbero state considerate intollerabili da un individuo sano.
Cominciava così ad aver luogo quella distorsione del tempo che Hans Castorp, il protagonista del romanzo, inizia ad avvertire a un certo punto del racconto e che gli si va infiltrando nell’interiorità: la vicina montagna diventa, di conseguenza, davvero «magica», in grado cioè di ammaliare le persone rimaste nelle sue vicinanze troppo a lungo.

Certo, occorre osservare come molti dei contenuti clinici esposti nell’opera provengano da un mondo ormai scomparso, un contesto in cui la cura differiva da quella odierna non soltanto per i mezzi tecnici impiegati ma anche per l’ambito socio-economico che la rendeva possibile. Ci si trovava, cioè, in pieno clima positivista: il malato doveva essere oggettivato, era un corpo che andava esplorato perché fosse possibile procedere alla sua riparazione e, dunque, non poteva essere che un docile campo di indagine. Bisognerà attendere qualche anno perché, proprio in Germania, un approccio del genere venga messo apertamente in discussione e si ponga con forza il tema del paziente in quanto soggetto.

AL TERMINE DELL’ANALISI di Vito Cagli emerge tuttavia la profondità con la quale Mann riflette sulla malattia vissuta e patita dal singolo personaggio, la grande affinità esistente tra il suo pensiero e quello di Freud, la sua capacità di armonizzare – grazie alla maestria della scrittura, caratterizzata in particolare dalla ricchezza del lessico e dalla presenza dell’elemento ironico – le innumerevoli componenti che compongono quel microcosmo costituito dal sanatorio e dall’ambiente circostante. Sembra opportuno, in conclusione, tornare a sottolineare un aspetto: la quotidianità del Berghof fornisce al paziente il tempo e le occasioni per meditare sulla propria condizione e, attraverso la malattia, egli si avvia a percorrere la strada della conoscenza.
È quanto ha fatto il giovane protagonista della Montagna magica, che l’ha utilizzata alla stregua di uno strumento per raggiungere una maggiore comprensione del mondo, della vita e della morte. Giunto al termine del suo lungo periodo di formazione, appare pronto per gettarsi nel turbine della Prima Guerra Mondiale, disposto quindi ad affrontare il campo di battaglia. Coinvolto ben presto nella carneficina, esposto al tiro delle artiglierie nemiche, lo vediamo gettarsi a terra e rialzarsi prima di scomparire, definitivamente, avvolto dalla nebbia. La sua sorte resterà dunque incerta, anche se il romanzo si chiude in un’atmosfera estremamente cupa e contraddistinta da lugubri presagi di morte.