«Vengo a Gaza da dieci anni e ho sempre pensato che questa terra sia rappresentata molto male dai media. Per questo, con Garry Keane, ho realizzato un film che intende mostrare Gaza nella sua vita quotidiana, la sua gente, gli interessi e le attività dei giovani, la gioia e il gioco dei bambini, il protagonismo delle donne, i talenti artistici, il rapporto tra la popolazione e il mare. Naturalmente nel film ci sono anche gli effetti del blocco israeliano cominciato più di dieci anni fa e non mancano scene girate durante i bombardamenti che mostrano la paura dei civili». Mancano pochi minuti all’inizio del “Red Carpet, Human Rights Film Festival” a Gaza city e non riusciamo a strappare molto più di questo ad Andrew McConnell, regista di Gaza, film documentario che ha ottenuto successo e consensi un po’ ovunque nel mondo ed è stato presentato in festival prestigiosi. I giovani circondano il regista. Sono incuriositi da questo irlandese che è riuscito a realizzare un ritratto così efficace di questo piccolo e martoriato lembo di terra palestinese, teatro dal 2008 di tre offensive militari israeliane. I protagonisti del film immaginano un futuro diverso per la loro terra, parlano di ciò che vorrebbero e non possono avere. Come Karma Khaial, 19 anni, in riva al mare di Gaza simbolo di libertà e allo stesso tempo muro che nega la libertà a causa del blocco navale attuato da Israele.

 

“Red Carpet” è solo un piccolo festival. Eppure è importante per Gaza dove la produzione culturale ed artistica resta limitata rispetto alle sue potenzialità, a causa del blocco israeliano e anche per le restrizioni che arrivano dalle autorità di Hamas, che dal 2007 controlla questo fazzoletto di Territori palestinesi. Il Festival doveva tenersi all’interno di un cinema di Gaza, l’Amer, ma i servizi di sicurezza dei Hamas, per motivi non ancora precisati, all’ultimo istante non l’hanno concessa. Così le proiezioni avvengono in strada. L’effetto è più accattivante – nel 2014 il festival si tenne a Shujayyeh tra le macerie degli edifici distrutti dai bombardamenti dell’offensiva “Margine protettivo” – ma gli organizzatori quest’anno speravano di poter tenere l’iniziativa in una sede più idonea per favorire una partecipazione più ampia.

 

«C’è fame di cultura, arte, attività sportive, soprattutto tra i più giovani. A Gaza ci sono creatività e potenzialità ma stentano ad emergere», ci dice Meri Calvelli, direttrice del “Centro di scambio culturale italo-palestinese Vittorio Arrigoni” tra i promotori della prima gara ufficiale di nuoto che si è tenuta ieri a Gaza city sotto gli auspici del Comitato olimpico palestinese. Cinque chilometri in mare aperto che hanno visto la vittoria del 20enne Abdel Rahman Tantish, che prenderà parte alle qualificazioni per i prossimi giochi olimpici.

 

Non ci sarà invece il “Tour di Gaza”. Le autorità israeliane non hanno permesso l’ingresso nella Striscia ai ciclisti della Cisgiordania che avrebbero dovuto prendere parte alla corsa, un evento più sociale che sportivo molto atteso dalla popolazione per la sua novità. E a Gaza ora possono solo sperare che Israele non ponga ostacoli all’arrivo a fine anno di 40 giovani di Roma, Milano e Napoli per il “Free Style Festival”, due settimane di musica, arte, circo e calcio.