«È un paese complesso, con una società variegata; apparentemente austera ma amante della vita e di tutti i suoi piaceri e in molti segmenti assai colta»: questo è l’Iran raccontato da Anna Vanzan nel suo Diario Persiano. Viaggio sentimentale in Iran (Il Mulino, pp.186, euro 15). Oltre a essere un manuale storico-geografico – che non lesina sulle descrizioni di «struggenti paesaggi e deserti cinti da monti» -, il Diario è un resoconto sentimentale, come lo definisce l’autrice nel sottotitolo.

NON È SOLO IL TACCUINO intimo di una viaggiatrice esperta, è un tentativo – riuscito – di decostruire gli stereotipi che avvolgono questo Paese. Già dalle prime pagine, Vanzan affonda la penna nello spinoso tema dei pregiudizi che dagli anni ’70 influenzano la visione occidentale. «È in atto dal 1979 una campagna denigratoria nei confronti dell’Iran, che lo ha trasformato nel nemico pubblico numero uno; e molti ne sono ancora convinti. Dal canto loro, anche gli iraniani sono sospettosi nei confronti dell’Occidente: hanno un rapporto di amore-odio con alcuni stati, soprattutto Usa e Gran Bretagna. A buona ragione: si pensi alle ingerenze statunitensi e britanniche alla base del complotto che rovesciò il governo di Mossadeq, di cui tra qualche mese ricorre il 64/mo anniversario».

Diario Persiano ripercorre alcune tappe del viaggio, soffermandosi su dissertazioni artistiche e digressioni storiche fondamentali a comprendere la complessità del Paese. Una delle caratteristiche è la secolare convivenza tra le due confessione dell’Islam, cui Vanzan dedica un intero capitolo. L’Iran è, infatti, uno dei principali paesi musulmani a maggioranza sciita: «Le conflittualità esistenti riguardano soprattutto la dirigenza politica iraniana e i gruppi sciiti e sunniti stessi: a livello di vita comunitaria le cose vanno assai meglio di un tempo», spiega la studiosa.

Sul fronte politico, invece, esiste ancora una diatriba tra il partito degli scettici e quello degli ottimisti che, all’indomani dell’accordo sul nucleare, si aspettavano un sensibile balzo in avanti, specie in materia di ripresa economica: «Ci sono stati segnali positivi – continua Vanzan – l’Iran è uscito dal gruppo dei paesi paria del mondo, si ha più fiducia nel futuro. Anche se la ricaduta dei nuovi accordi economici non è ancora arrivata alla base sociale. L’inflazione si è abbassata ma si auspica un benessere maggiormente diffuso». Motivo per cui la rielezione di Rouhani ha un duplice significato: garanzia di rinnovata fiducia e chance per il neo-presidente di rivolgere la propria attenzione alle annunciate riforme politiche e sociali.

NONOSTANTE LA SUA FAMA, fino allo scorso 7 giugno, l’Iran era l’unico paese in ambito mediorientale a essere sfuggito al terrorismo. Poi, il duplice attentato a Teheran ha cambiato la percezione della popolazione.
Gli attacchi a due istituzioni, una «laica», il Parlamento – simbolo della democrazia -, e l’altra religiosa – il santuario di Khomeini, vate della Rivoluzione – ha creato una crepa nella fiducia delle persone. «L’evento ha scosso gli iraniani perché non se l’aspettavano. Durante la mia ultima visita, poche settimane prima dell’attentato, ho percepito una certa sicurezza, molti mi hanno detto ’Qui l’Isis non è arrivato’. Erano più preoccupati per le ’intemperanze’ di Trump e per l’ostilità saudita».