Ammara Walid, cittadino tunisino, che avrebbe compiuto trentuno anni il prossimo 13 marzo, si è tolto la vita ieri mattina a Lampedusa, impiccandosi con una cintura di sicurezza. Si trovava dal 30 ottobre tra i 150 migranti trattenuti nell’hotspot dell’isola, in attesa di essere trasferito in un centro dell’agrigentino. Il suo suicidio ci ricorda, in maniera drammaticamente esemplare, i contorni della tragedia dell’immigrazione e le patologie che essa produce: lo smarrimento dell’identità, il panico sul proprio futuro, quella vera e propria sofferenza mentale che è la sindrome del migrante. Tanto è vero che gli psicologi dell’hotspot e, più di recente, una visita psichiatrica avevano accertato l’incompatibilità dello stato di salute di Walid con il trattenimento in un centro di detenzione e la necessità di un rapido trasferimento. Cosa non ancora avvenuta, nonostante siano trascorsi dei mesi.

Ammara Walid si è trovato così in una condizione di totale incertezza sul proprio destino e non adeguatamente assistito, a causa del fatto che gli psicofarmaci prescritti non erano reperibili sull’isola.

Su tutto questo, e su eventuali responsabilità dell’amministrazione pubblica, ho presentato un’interrogazione urgente al ministro dell’Interno.