Afghana ma nata e cresciuta in Iran, a Teheran, Shahrbanoo Sadat ha solo 27 anni, di cui otto passati a realizzare il suo primo film: Wolf and Sheep. Appena ventenne infatti è la regista più giovane a sviluppare il proprio progetto grazie alla Cinefondation di Cannes, dove è tornata l’anno scorso proprio per presentare il suo film d’esordio alla Quinzaine des Realisateurs, prima regista donna afghana a partecipare al Festival francese. Sadat è figlia di rifugiati afghani che hanno vissuto in Iran per oltre quarant’anni prima di fare ritorno nel loro villaggio nel cuore dell’Afghanistan nel 2001 – quando la regista aveva 11 anni – nella convinzione che con l’intervento delle truppe internazionali le condizioni in Afghanistan sarebbero migliorate.

È proprio in questo villaggio che Sadat ha immaginato il suo Wolf and Sheep, storia del legame fra una bambina solitaria e l’unico bambino che le offre la sua amicizia. La vita nella loro comunità di pastori è scandita dalle storie che tutti si raccontano a vicenda: a volte sono maldicenze, ma spesso sono leggende che la comunità elabora per dare un senso agli eventi che turbano la quotidianità, come la strage di pecore compiuta da un lupo. Attraverso la curiosità e la meraviglia dei bambini Sadat restituisce così lo stupore che lei stessa racconta di aver provato quando, appena undicenne, si è trovata a vivere in mezzo alle montagne dell’Afghanistan. Dopo anni passati nel villaggio a raccogliere testimonianze per il film, le riprese sarebbero dovute iniziare nel 2014, lo stesso anno in cui in Afghanistan ci sono state le elezioni, accompagnate da una nuova escalation di violenza. In molti fuggivano e la vita quotidiana era scandita dalle esplosioni, così Sadat ha dovuto ambientare Wolf and Sheep film in Tagikistan, portando con sé i 38 attori selezionati nella regione di cui sono originari i suoi genitori.

Nonostante tutte le difficoltà è riuscita a realizzare il film, e nonostante il pericolo e la violenza ha deciso di restare a vivere in Afghanistan, a Kabul, dove non può dire di fare la regista – ritenuto un lavoro poco rispettabile per una donna – ma deve fare finta di essere un’insegnante. Il suo sogno resta comunque quello di raccontare il suo paese.