Non siamo a Roma ma in un piccolo paese della Puglia, a cavallo fra il presente e i ricordi di un gruppo di amici la cui vita ha a lungo ruotato attorno all’esperienza di un’arena cinematografica all’aperto. L’età d’oro di Emanuela Piovano è liberamente tratto dal libro L’età d’oro – Il caso Véronique di Silvana Silvestri e Francesca Romana Massaro (anche sceneggiatrici del film), ma soprattutto si ispira altrettanto liberamente alla vita di Annabella Miscuglio, regista e tra i fondatori, nel 1967, dello storico cineclub romano Filmstudio. Nel film questo personaggio, interpretato da Laura Morante, prende il nome di Arabella: «In lei ci sono tante figure che ho conosciuto – dice Piovano – uomini e donne che amavano il cinema allora e che continuano ancora oggi a portare avanti il loro sogno».

Non solo quindi Annabella Miscuglio e la sua esperienza: «Un film come una storia d’amore deve volare da solo e recidere il legami».
Ci sono voluti dieci anni, racconta ancora la regista, per «trovare la strada con cui raccontare questa storia». Una prima idea è stata quella di fare un lavoro «sulle carte del processo per il documentario AAA offresi». E cioè la via crucis giudiziaria in cui Miscuglio – già regista dell’epocale Processo per stupro – è rimasta invischiata per oltre 15 anni a causa appunto del suo documentario, con cui «voleva continuare sulla strada del cinema-verità» per raccontare la prostituzione dall’inusuale punto di vista dei clienti. Con una cinepresa in casa dell’amica prostituta Véronique aveva testimoniato i suoi incontri con vari uomini. «All’epoca non c’era la legge sulla privacy – racconta Piovano – oggi Annabella sarebbe stata denunciata per quello, invece la incriminarono per sfruttamento della prostituzione».

La via della ricostruzione della sua vicenda giudiziaria viene però abbandonata, anche dopo che le carte del processo vengono finalmente trovate dopo una lunghissima ricerca.
Con L’età d’oro – in anteprima il 6 aprile al Bari Film Festival – Piovano ha così modo di raccontare e reinventare anche il rapporto tra Arabella/Annabella e il figlio, che la regista aveva conosciuto nei suoi frequenti viaggi da Torino a Roma negli anni Ottanta: «Lavoravo per Paolo Gobetti che mi mandava spesso a Roma e io stavo sempre a casa di Annabella, un viavai di artisti internazionali come Godard, Schifano o Dominique Sanda. E forse il figlio avrebbe voluto una mamma tutta per sé».

Ma la protagonista è anche un’epoca che non c’è più: l’emergere del «movimento del cinema underground» e soprattutto l’esperienza del cineclub. E cioè il sogno infranto del gruppo di amici protagonista di L’età d’oro a cui solo Arabella aveva continuato ostinatamente a credere. Apologia del passato ma non solo: «pochi film sono andati avanti guardando solo indietro», dice Piovano, che sostiene di essere ottimista nei confronti del futuro anche in un’epoca in cui le sale chiudono una dopo l’altra. Come nel caso dell’Alcazar, ricordato da Elena Cotta (nel film la dirimpettaia dell’arena della protagonista): «Un cinema straordinario che ha dovuto chiudere a causa dei costi insostenibili».