Gli anni trascorsi al manifesto non sono stati per Severino un esordio come un altro, un qualunque apprendistato. Quando ci capitava di incontrarci, nel corso degli anni, li ricordavamo sempre con una sorta di divertita nostalgia. i lasciava volentieri prendere in giro sulla sua vena di follia, sulle assenze ingiustificate e i giochi di simulazione. Domenico Starnone ed io ci davamo i turni nel dare la caccia al latitante. Tanto inaffidabile sul breve periodo, quanto sicuro punto di riferimento sul lungo. Ad ogni modo le pagine culturali del manifesto nascono con lui al centro di una «squadra» decisamente eterogenea. Ci sono Gianni Riotta e Michelangelo Notarianni, Domenico Starnone ed io. Si aggiungerà poco dopo Ida Dominijanni. Severino riesce a parlare con tutti, a fare progetti, pur mantenendosi nella dimensione protetta del «sognatore informato».

Agiva in lui, almeno così mi sembrava, una combinazione inconsueta tra ingenuo stupore per l’innovazione e solidità culturale, tra fascinazione del «nuovo» e profonda conoscenza della grande letteratura. Questa inclinazione tendeva a smontare quella contrapposizione tra «cultura alta» e «cultura bassa» che attraversava le stucchevoli polemiche dell’epoca.

Proprio perché corpo mai totalmente integrato in un giornale nato per essere totalmente politico, le pagine culturali del manifesto costituivano il laboratorio più libero e spregiudicato della stampa italiana. Severino seppe sfruttare nel migliore dei modi questa circostanza a coglierne appieno tutte le opportunità. Da quel laboratorio nacquero «il domenicale», «la talpa giovedì» e la «talpa libri». Difficile dire chi le inventò. Ci lavorarono Notarianni, Riotta, Casadio, Starnone. Ma di certo Severino conferì al domenicale e alla «talpa libri» il suo stile di raffinata curiosità. Queste esperienze cambiarono in realtà il volto e la storia del giornale, ne allargarono il pubblico e gli orizzonti, permisero la formazione di un vasto e qualificatissimo bacino di collaboratori (grazie anche al delicato talento relazionale di Severino) e costituiscono ancora oggi la base per la lunga continuità del giornale, anche attraverso stagioni di stagnazione politica.

Al termine della sua non breve permanenza nel giornale, Severino partecipò alla nascita di Manifestolibri (1991). Abbiamo fatto insieme i primi due libri Ribelli sognatori e fuggitivi di Osvaldo Soriano e Taccuini americani di Alessandro Portelli. Ma già stava lavorando al libro con Giulio Einaudi per Theoria e si sentiva proiettato verso quel mondo.
Severino credeva nel mercato, pensava che solo per suo tramite buoni testi e buone idee potessero avere un futuro, perché mercato significava soprattutto per lui i desideri, le aspirazioni e le curiosità dei lettori e dei non ancora lettori. Certo, non si tratta solo di questo e lui non lo ignorava. Di tutte le persone con cui ho lavorato per tanti anni al manifesto Severino è l’unica con il quale non ho mai parlato di politica. Difficile spiegare perché, ma non ce n’era bisogno.

Caro Seve, chi se ne va non può replicare, e dunque è d’obbligo chiederti venia per le parole arbitrarie di chi resta.