Il testo che segue è un estratto del testo redatto da Marco Revelli e che L’altra Europa con Tsipras pone come punto di partenza per la discussione per l’aggiornamento e il rilancio del progetto.
Il testo integrale su www.listatsipras.eu

«Cambiare l’Europa per salvare l’Italia». Si potrebbe sintetizzare così la proposta che L’altra Europa con Tsipras aveva posto al centro della scorsa campagna elettorale. Significava che la partita vera, quella per la quale un paese sopravvive o va giù, si giocava sulla possibilità di rovesciare l’impianto delle politiche europee incentrate sull’austerità.

Ora bisogna aggiungere un secondo passo: “Cambiare l’Italia per cambiare l’Europa”. Perché l’Europa non ha “cambiato verso”. Nonostante che le elezioni europee abbiano sancito una delegittimazione delle “larghe intese” (Ppe e Pse hanno perso elettori) l’asse tedesco Merkel-Schulz è stato imposto all’intero continente, trasformato in un gretto agglomerato di interessi chiuso nel cerchio opaco del business e della potenza finanziaria.

Quel cerchio va spezzato. Con una mobilitazione dal basso, forte, transnazionale. Con un fronte alternativo che abbia al centro i 10 punti che già affermammo alle europee, in antitesi alla politica e all’ideologia delle “larghe intese”, a cui invece è del tutto subalterno l’attuale governo italiano.

Tra le ragioni del fatidico 40,8% c’è anche la millantata promessa di “farsi sentire” in Europa. Un grande, consapevole imbroglio. Non solo perché Renzi ha approvato senza colpo ferire la Commissione Juncker. Non solo perché si è accucciato davanti ai diktat della Bce, consegnando ai banchieri centrali lo scalpo del sindacato italiano. Ma anche e soprattutto perché il suo programma è scritto sul palinsesto della peggiore Europa. Dal primo decreto Poletti al cosiddetto “Sblocca Italia”, fino alla interpretazione della spending review come piano di privatizzazioni e al Jobs act come liquidazione della residua civiltà giuslavoristica moderna. O alla Legge di stabilità che simula politiche espansive rispetto ai “controllori” europei, ma di fatto scarica i costi sui servizi ai cittadini più bisognosi.

Per questo noi diciamo che Renzi non è l’alternativa alla Troika. Matteo Renzi è la Troika interiorizzata. E’ la forma personalizzata che assume la cessione di sovranità quando viene camuffata con la retorica del demagogo. Lungi dal rappresentarne una qualche via di uscita Renzi è, al contrario, la crisi stessa messa al lavoro in politica. E’ la forma che la crisi assume quando il suo potenziale distruttivo viene trasferito sul piano politico e applicato alla forma di governo.

Il renzismo porta a compimento la crisi terminale della democrazia rappresentativa. Così è stato in occasione dell’indecente battaglia di agosto per la liquidazione del Senato. Così è per il rapporto tra Potere Legislativo e Potere Esecutivo, con l’umiliazione sistematica del primo e l’assolutizzazione del secondo. Di questa umiliazione la vicenda parlamentare della mozione di fiducia sul Jobs Act costituisce un punto di verità straordinario. Così è per la natura e il ruolo dei partiti politici, a cominciare dal Pd, il quale ha subìto una mutazione genetica trasformandosi da aggregato eterogeneo di gruppi d’interesse e di amministratori in “partito del capo” e, tendenzialmente, “partito unico della nazione”, una platea plebiscitaria che, dopo la stipulazione del Patto del Nazareno, riconsegna a un leader squalificato e pregiudicato il ruolo di partner costituente.

Le conseguenze politiche di tutto questo sono evidenti: lo stravolgimento dell’assetto politico-istituzionale e la mutazione del quadro delle identità politiche crea un’inedita necessità di mobilitazione per invertire una tendenza. Serve elaborare un’effettiva alternativa al renzismo, una risposta credibile, capace di coglierne i punti di forza e di rovesciarli, non solo svelando l’inganno, ma offendo soluzioni praticabili.

Dobbiamo contrapporgli una linea di uscita, se non dalla crisi – che è endemica di questo capitalismo globale e in particolare nel modello europeo – almeno dall’emergenza. Un programma altro rispetto a quello dettato dalla Ue, pochi punti, chiari, a cominciare dalla questione del debito e del suo necessario “consolidamento”, dalla rottura dei patti capestro europei, da un piano eccezionale per l’occupazione, per la messa in sicurezza del territorio, per la ristrutturazione energetica, per la rappresentanza dei lavoratori in fabbrica e il superamento vero della jungla contrattuale tra gli “atipici”

Un punto di forza di Renzi è l’evocazione sistematica della rottura e del “nuovo inizio”, che affonda le radici nell’impossibilità di vedere un futuro, nella consapevolezza che “così non si può andare avanti”. A quella domanda di rottura giustificatissima dovremmo riuscire a rispondere noi.

Ma qui intervengono i nostri punti di debolezza. Quello che fa fuggire la gente normale lontano da noi è la nostra endemica litigiosità. Per ricostruire una prospettiva credibile servirà in primo luogo un taglio netto con pratiche consuete e stili di lavoro improponibili.

E poi servirà una straordinaria mobilitazione di intelligenza e conoscenza perché il nostro pensiero è oggi insufficiente di fronte alle travolgenti trasformazione della società che vorremmo intercettare: “unire ciò che la crisi e il neoliberismo hanno diviso” è un buon proposito, ma come questo possa essere fatto dobbiamo cercarlo ancora.

Per non dire della crisi delle forme organizzative, a cominciare dalla “forma partito”. Sarebbe una catastrofe se noi pensassimo di ricostruire una casa per gli esuli di quel crollo, senza porci il problema, di cosa si sostituisce al modello organizzativo del “partito di massa” che ha dominato l’orizzonte politico novecentesco e che con quel secolo si è inabissato.

Per questo noi non proponiamo un “soggetto politico” già bello è fatto. Proponiamo un processo di lunga durata in grado di proiettare l’esperienza de L’Altra Europa oltre la vicenda, felicemente conclusa, di Lista elettorale. Un processo da iniziare subito, nel quale davvero si avanzi domandando, in cui sia ben chiaro il rapporto tra le tappe intermedie e la meta, ovvero la volontà di creare un “soggetto politico europeo della sinistra e dei democratici italiani”.

Per questo la prima tappa è giungere alle prossime elezioni politiche con una lista in g[/ACM_2][ACM_2]rado di unire tutte le componenti di una sinistra non arresa alla austerità europea e alla sua versione autoritaria italiana incarnata dal renzismo, determinata a sfidarlo in modo credibile sul doppio terreno dell’egemonia e della capacità d’innovazione. La sfida elettorale sul livello nazionale è senza dubbio la competizione giusta per lanciare il processo qui descritto. Alla sua piena riuscita è necessario commisurare ogni altra nostra mossa.

In questo processo il risultato della Lista L’altra Europa con Tsipras del 25 maggio, può essere considerato un buon punto di partenza. Ma le condizioni della campagna europea erano eccezionali e ci favorivano. Quelle condizioni non ci sono più: ora bisogna condurre un percorso condiviso, che porti ad una definizione di forme di rappresentanza pienamente legittimate, e procedere a un lavoro diplomatico di convergenza, rispettoso di tutte le storie e di tutte le identità, ma anche consapevole della necessità di superare distinzioni sempre più parziali.

Riteniamo che sia necessario iniziare a tracciare il campo dei partecipanti al processo attraverso l’adesione individuale ai punti qualificanti di questo documento E, in connessione con ciò, la proposta che chiediamo di discutere è di aprire l’Associazione L’Altra Europa con Tsipras all’adesione individuale di massa, scrivendone lo Statuto (entro nove mesi) in una chiave partecipativa e democratica.

Ai soggetti collettivi, d’altra parte, (partiti, movimenti, associazione) non è richiesto di sciogliersi come condizione di partecipazione al percorso, ma ne auspichiamo l’impegno convinto e l’assunzione dell’obbiettivo finale così come è stato per le elezioni europee.

Intorno a noi, c’è un mondo di donne e di uomini che ogni giorno si sbatte per resistere e per cambiare, o comunque che “non ci sta”: c’è una “sinistra fuori dalla sinistra”, che non trova sponda in ciò che c’è (o che si vede) e che meriterebbe una rappresentanza politica degna di questo nome. È con loro che dobbiamo camminare.