È stato un gesto potente quello di Papa Francesco: il primo viaggio apostolico del suo pontificato a Lampedusa, porta d’ingresso verso l’Europa che molti vorrebbero chiusa e impenetrabile ai migranti provenienti da sud, isola nel cuore del Mediterraneo trasformato in tomba per coloro che tentano di violare i sacri confini della fortezza Europa.

Gesto potente perché, ricorda il responsabile del settore internazionale dell’associazione Libera, don Tonio Dell’Olio, usando le espressioni di don Tonino Bello – vescovo di Molfetta che ai primi immigrati nella Puglia degli anni ’80 spalancava i portoni della palazzo episcopale – «a chi ostenta i segni del potere dobbiamo mostrare il potere dei segni».

Tuttavia ci sono stati degli omissis nelle parole di Bergoglio, che pure ha rifiutato la presenza ai piedi dell’altare del ministro dell’Interno Alfano, desideroso di farsi immortalare in mondovisione accanto al Papa e insieme a quei migranti contro i quali il suo ministero – e il suo partito – da decenni conduce una lotta senza tregua: i nomi dei colpevoli. Perche Bergoglio ha rivolto un appello alla responsabilità di tutti («Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile, abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna» in una sorta di «globalizzazione dell’indifferenza», ha detto nell’omelia); ha commemorato le vittime, ha gridato «mai più morti nel Mediterraneo», ma ha omesso di chiamare per nome i colpevoli della strage. Ovvero gli autori della legislazione europea ed italiana – che si chiamano Turco, Napolitano, Bossi, Fini, Maroni – che ha aperto i Cie (in origine Cpt), promuove i respingimenti, ostacola il diritto d’asilo, marchia i migranti come clandestini.

Averli fatti, questi nomi, avrebbe tolto ogni alibi e infranto l’unanimismo di facciata di tutti coloro che, da destra a sinistra, hanno applaudito Papa Francesco, con l’eccezione della Lega Nord: «Perché non li porta in Vaticano?», «mi sarei aspettata qualche parola per quanti vengono ammazzati e stuprati da loro», hanno detto i militanti leghisti dai microfoni di Radio Padania. «Papa Francesco ha detto No alla globalizzazione dell’indifferenza, io dico No alla globalizzazione della clandestinità», ha commentato Salvini, vice segretario della Lega.

Più espliciti sono stati alcuni rappresentanti della gerarchia ecclesiastica e dell’associazionismo cattolico impegnato nel sociale, tutti grati a Bergoglio perché da oggi si sentono «meno soli». «Bisogna rivedere e cambiare la legge Bossi-Fini», ha detto monsignor Montenegro, arcivescovo di Agrigento, l’unico vescovo che il Papa ha voluto al suo fianco. «L’immigrazione non sia più considerata un’emergenza», ha aggiunto Montenegro, «bisogna promuovere politiche adeguate di giustizia e di rispetto di ogni vita umana, sarebbe triste se dopo questo viaggio tutto rimanesse come prima». «La presenza a Lampedusa del Papa rappresenti una svolta decisiva nelle politiche di accoglienza dei migranti e sia motore per un ripensamento immediato della gestione degli arrivi nell’Unione europea», ha fatto eco padre La Manna, presidente del Centro Astalli, il servizio dei gesuiti per i rifugiati. «Il diritto d’asilo trovi finalmente spazio in ragionamenti fuori da logiche emergenziali. Si mettano in atto misure coraggiose per risolvere l’eccessiva pericolosità dei viaggi con cui i rifugiati cercano di raggiungere l’Europa».

Ma anche nella Chiesa le posizioni sono composite. I settori più conservatori, sia dell’episcopato che dell’associazionismo, non hanno apprezzato il viaggio di Bergoglio a Lampedusa – più che le critiche, che ovviamente non ci sono, vanno rilevati i numerosi silenzi –, tanto che monsignor Mogavero, vescovo di Mazara Del Vallo, avverte: «Non trascurerei l’aspetto intraecclesiale del significato della visita del Papa perché anche all’interno della Chiesa abbiamo bisogno di tanta purificazione». Ne è un esempio il parroco del duomo di Mestre, monsignor Bonini, che ha organizzato un servizio di sorveglianza – gestito dai parrocchiani più prestanti fisicamente – per limitare la richiesta di elemosine dei senza fissa dimora (i «barbanera» li chiamano a Mestre) che stazionano sul sagrato della chiesa: «Va trovato il modo di rimandarli a casa loro, in questa situazione si rischia di non aiutare chi ne ha veramente bisogno», ha detto il parroco, il giorno prima della visita di Bergoglio a Lampedusa.