Sono passati oltre vent’anni da quando Eric Hobsbawm, nel suo Il secolo breve, propose una nuova datazione per quel che riguardava il Novecento, lanciando l’idea che tale secolo fosse in realtà iniziato soltanto nel 1914. Secondo lo storico britannico, infatti, con lo scoppio della Prima guerra mondiale il mondo cambiò radicalmente, acquisendo caratteri e fisionomie entrati poi in crisi con la dissoluzione dell’Urss. Il reale atto di nascita, dunque, del Ventesimo secolo sarebbe rappresentato dall’attentato di Sarajevo, quando, a seguito dell’uccisione di Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico e della consorte Sofia da parte di Gavrilo Princep, si innescarono i meccanismi che in breve portarono allo scoppio della Grande guerra. Da quel momento il mondo cambiò.

A PIÙ DI CENT’ANNI dai colpi di pistola che ammazzarono l’arciduca austriaco, Miljenko Jergovic torna ad occuparsi dell’avvenimento con un romanzo atipico, L’attentato (Nutrimenti, pp. 192, euro 18) dedicato a quei fatti e alle conseguenze che scatenarono. Il romanzo può essere definito fuori dagli schemi perché l’autore non si limita a raccontare gli avvenimenti, rendendoli più vividi grazie all’uso della sua fantasia. Ma ci riflette a fondo, si pone domande, cerca di approfondirli, si mette a seguire i «tanti flussi paralleli che iniziano con la primavera e l’estate del 1914 e continuano per tutto il Ventesimo secolo».

Si parte con una sorta di autobiografia comparata dei due protagonisti principali: lo studente e l’arciduca. Si sottolineano le similitudini, entrambi cresciuti da una madre forte (matrigna nel caso dell’erede al trono) che ha lo stesso nome, Maria, e da padri cristiani devoti, entrambi tubercolotici. Si notano le differenze, Gavrilo appassionato di arte e letteratura, idealista, militante politico, Francesco Ferdinando dai gusti «tipicamente piccolo borghesi e degradati in modo preoccupante rispetto ai costumi in voga un tempo presso la corte viennese», estraneo alla cultura, ma amante dei viaggi e capace di mettersi contro tutti, persino l’imperatore, pur di sposare, seppure in una sorta di matrimonio morganatico, Sofia, ritenuta non all’altezza come quarti di nobiltà del futuro consorte.

Emergono le coincidenze, le casualità davvero incredibili – quasi interventi della Fortuna di machiavelliana memoria – sia nella scelta dell’erede, avvenuta dopo una serie lunghissima di candidati molto più titolati morti inaspettatamente, sia proprio nel susseguirsi degli avvenimenti relativi al momento dell’attentato (il primo attentatore non lancia la bomba, il secondo la lancia troppo presto, l’autista di Francesco Ferdinando commette un errore fatale). Si riflette poi sulla figura degli attentatori. Semplici assassini o tirannicidi?

La risposta è complessa ma l’affermazione di Jergovic è chiara: «Uccidere in un agguato non è un atto eroico, nemmeno se si spara a un tiranno. Ma in ogni caso lo è difendere i propri ideali. Prima e dopo il suo sparo, Gavrilo Princip ha difeso eroicamente i propri ideali». E si continua riflettendo e ponendosi domande. Sulle differenze politiche presenti tra gli attentatori e nel contesto in cui si muovevano, che vedeva intrecci e relazioni tra socialismo, anarchia, nazionalismo. E poi propugnare il sogno di un paese di tutti gli slavi del sud o l’adesione all’idea di «grande Serbia»?

IL TUTTO IN UN’EPOCA in cui «a sparare erano attentatori e membri di gruppi cospirativi segreti, mentre oggi si uccide con permessi ufficiali e firmati con tanto di protocollo. Allora i civili sparavano agli imperatori, ai re e ai capi di governo, mentre oggi gli imperatori, i re e i capi di governo sparano sui civili». E l’elenco è impressionante: «1900, proprio all’inizio del secolo, in un attentato è stato assassinato il re italiano Umberto I, l’anno dopo il presidente americano William McKinley, nel 1902 il ministro del governo imperiale russo Sipjagin, nel 1903 a Belgrado sono stati assassinati e gettati dalle finestre il re Alessandro Obrenovic e la regina Draga, nel 1904 il governatore della Finlandia, generale Bobrikov, nel 1905 il primo ministro greco Deliyannis e due anni dopo il suo collega bulgaro Petkov, nel 1907 il primo ministro iraniano Amin al-Soltan, nel 1908 il re portoghese Carlo I insieme all’erede al trono Luigi Filippo, e nel 1909 il più importante dei sovrani e dei politici assassinati è stato il principe giapponese Ito; nel 1910 il primo ministro egiziano Boutros Ghali Pascià, nel 1911 il primo ministro russo Stolypin, nel 1912 il primo ministro spagnolo Méndez, mentre nel 1913, un anno prima dell’attentato di Sarajevo, è difficile fare una scelta ponderata tra i tre uccisi in attentati: il presidente del Messico, il re greco e il comandante in capo dell’esercito turco».

Si potrebbe continuare sottolineando come Jergovic arricchisca il discorso seguendo fili di avvenimenti e ragionamenti che portano ad altri momenti capitali, fino alla guerra di Bosnia e oltre. Così come l’autore segua fino alla loro conclusione le storie di personaggi secondari, come la guardia carceraria Pepi Doležal o il boia Alois Seyfried o ancora l’attore e professore di filosofia Predrag Finci. E un ruolo importante è riservato anche a Ivo Andric, premio Nobel per la letteratura nel 1961.

INSOMMA «L’ATTENTATO» risulta essere un libro davvero particolare e importante che oltre tutto, nell’ultima parte intitolata «Noi tre», riesce a sciogliere in modo forte e commovente tutte le domande poste, aprendo inaspettatamente un piccolo squarcio di speranza.