Una delle discipline che oggi può dare qualche risposta alle domande ancestrali su chi siamo, da dove veniamo, verso dove andiamo è l’astronomia, e in particolare quella branca di questa scienza che studia i cosiddetti “esopianeti”, i pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal nostro sole.

La notizia che si accaparra la copertina del numero di oggi della rivista scientifica Nature è che attorno alla stella più vicina al sole, Proxima Centauri, orbita un pianeta approssimativamente delle dimensioni della terra. Proxima Centauri è una piccola stella rossa scoperta un secolo fa, grande e luminosa circa un decimo del nostro sole, invisibile a occhio nudo, che appartiene a un sistema tristellare formato anche da un ben più visibile sistema di stelle doppie chiamato Alpha Centauri, nella costellazione del Centauro (visibile dal cielo australe). La sua distanza è di poco più di 4 anni luce, cioè la distanza che la luce (che viaggia a 300mila km al secondo) percorre in 4 anni: più di 40 trilioni di km, un tiro di schioppo in termini astronomici. In proporzione, la terra dal sole dista 8 minuti luce, 150 milioni di km.

La scoperta è il frutto di molti anni di lavoro di molte decine di astronomi in tutto il mondo, e della campagna Pale Red Dot, su cui vale la pena spendere due parole. Pale Red Dot prende ispirazione dal “pallido pallino blu” (pale blue dot), come lo aveva chiamato l’astronomo e divulgatore Carl Sagan, che rappresentava la terra in una immagine presa dalla storica sonda Voyager 1 nel 1990 quando stava per uscire dal sistema solare. La campagna Pale Red Dot ha l’obiettivo di raccontare al pubblico la ricerca di un pianeta attorno a Proxima Centauri, che necessariamente –  dato il colore prevalente della stella – avrebbe sfumature rosse, e di qui il nome. Ma al di là dell’aspetto meramente scientifico, l’idea di raccontare il lungo e paziente lavoro di ricerca dietro alla punta dell’iceberg rappresentata dalla scoperta che finisce sui giornali indica che gli scienziati stanno diventando sempre più sensibili sull’importanza dell’interazione con il resto della società. E non è un caso che gli esempi di questa maggiore sensibilità vengano proprio l’astronomia, una branca della scienza più vicina alla ricerca fatta per il mero piacere di farla che a molti altri interessi (anche nobili e legittimi), come per esempio accade nella biomedicina o nella chimica.

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Il sospetto che potesse esistere un pianeta attorno a Proxima Centauri c’era già dal 2013, ma l’evidenza non era convincente, e così gli scienziati hanno messo assieme molte osservazioni dal 2000 fino a quell’anno, in cui hanno lanciato la campagna Pale Red Dot. A partire da quel momento, hanno acquisito ulteriori dati da una rete di telescopi mondiale, fra cui uno spettrografo montato su un telescopio da 3,6 metri di diametro del consorzio europeo Eso,  (European Southern Observatory) collocato sulla cima della montagna La Silla nel bel mezzo del deserto cileno di Atacama.

La difficoltà dell’operazione risiede nel fatto che, nell’impossibilità di osservare direttamente il pianeta per la sua debolezza, l’effetto da rilevare è insignificante: una microscopica variazione di velocità della stella dovuta al piccolo effetto gravitazionale del pianeta. Di conseguenza, dalla terra osserviamo che Proxima Centauri si avvicina e si allontana leggermente da noi con un periodo di esattamente 11,2 giorni. I calcoli hanno mostrato che si tratta di un oggetto di almeno 1,3 masse terrestri che ruota a 7 milioni di km di distanza dalla stella  il 5% della distanza terra-sole, e meno della distanza fra Mercurio e il sole. Ma dato che la stella è molto più piccola e debole, a questa distanza potrebbe persino esistere sul pianeta acqua liquida, come sottolineano gli autori della ricerca. Il che non implica che il pianeta ospiti vita, anche perché non sappiamo nulla sulla sua atmosfera, e le stelle del tipo di Proxima Centauri sono molto più attive del sole: il flusso di radiazioni e raggi X ricevuti dal pianeta è 400 volte più elevato di quello ricevuto dalla terra. E non sappiamo neppure se questo corpo celeste possiede, come la terra, un campo magnetico che lo scherma dalle radiazioni più pericolose. D’altra parte, le stelle come Proxima Centauri vivono cento o mille volte più del sole (che morirà tra qualche miliardo di anni): se l’evoluzione fosse universale, e se davvero il pianeta ospitasse qualcosa che ci possiamo immaginare come “vita”, questa avrebbe modo di evolvere per molti miliardi di anni dopo la scomparsa del sole e di tutti i suoi pianeti.

Detto questo, la notizia potrebbe non sembrare gran cosa: alcuni scienziati appassionati di fenomeni molto remoti hanno scoperto un nuovo sasso nel firmamento. A una distanza dalla sua stella non incompatibile con la presenza di acqua liquida. Bene.

Ma il fatto è che fino a venti anni fa, l’idea che potessero esistere altri pianeti, oltre a quelli del sistema solare, e di conseguenza altri posti dove potesse nascere e svilupparsi una forma di “vita”, era niente più che una mera speculazione filosofica. Dal 1995, anno della prima osservazione confermata di un pianeta extrasolare, a oggi ne sono stati scoperti più di 3500, e il loro numero è destinato a crescere con il miglioramento delle tecniche, la costruzione di nuovi supertelescopi e con il lancio di nuovi satelliti.

Che attorno alla stella più vicina a noi ci sia un sassetto forse non del tutto inospitale, che si aggiunge alle migliaia di altri sassetti scoperti, alcuni dei quali sembrano essere ugualmente poco inospitali, non può che suscitare più di un interrogativo filosofico sul nostro ruolo nell’universo, su come si definisce la “vita” e sulla questione ancora aperta e molto fertile scientificamente di come nasce questa “vita” (al tema si dedica un settore chiamato astrobiologia). E persino sulla questione dei viaggi interstellari: oggi per percorrere la distanza fra noi e Proxima Centauri ci vorrebbero migliaia di anni, ma qualcuno sta già pensando a nuove missioni spaziali per raggiungere le stelle più vicine in tempi meno biblici. Per non parlare del fatto che se c’è qualcuno laggiù, se fosse “come noi” e utilizzasse come noi la telecomunicazione, potremmo anche essere in grado di rilevarlo. Per un botta e risposta ci vorrebbero 4 + 4 anni, ma sarebbe il “ciao” più rivoluzionario della storia dell’umanità.

Ma una cosa è certa: questi interrogativi danno il colpo di grazia a chi ancora, seppur metaforicamente, crede di poter mettere al centro dell’universo la terra e i suoi abitanti più invadenti.