Limitata dalla piccola realtà in cui vive – un piccolo villaggio Rom vicino a Bucarest – e dal suo ruolo di madre single e giovanissima, Pamela (Alina Serban) sogna altro: di seguire i suoi sogni, studiare, fare la scoperta di un mondo più grande che ha sempre solo intravisto in lontananza. Presentato nel programma di Acid al Festival di Cannes del 2018, Sola al mio matrimonio di Marta Bergman – suo esordio nel cinema «di finzione» – è il romanzo di formazione di Pamela, che per fuggire dal suo villaggio si lascia alle spalle la figlia e la nonna, con cui entrambe vivono, e si iscrive su uno di quei siti dove i cittadini dell’Europa ricca cercano moglie «per corrispondenza».

ARRIVATA a Bruxelles, Pamela scopre però che la sua natura avventurosa e il suo desiderio di libertà sono altrettanto limitate anche in questo nuovo mondo pieno di promesse solo apparenti, in cui la accoglie il futuro sposo Bruno (Tom Vermeir). Sia nel suo caso di uomo solo e introverso che trova moglie su internet che in quello di Alina, Rom in cerca della propria strada nella metropoli, Bergman – autrice in passato di un documentario proprio sulle ragazze Rom che cercano marito in Europa – si tiene lontana dagli stereotipi, e racconta i suoi personaggi con sincerità, rimanendo vicina alla realtà della sua protagonista Alina Serban nata proprio nel villaggio del film. E rendendola a suo modo l’eroina di una storia di ribellione, scoperta di sé e del senso della libertà.