Düsseldorf non sarà Nashville, ma fu il cuore di una rivoluzione tecnologica ed espressiva nel pop rock contemporaneo. Uno dei protagonisti di quel movimento si chiamava Florian Schneider ed è morto a fine aprile per un tumore. La notizia della sua scomparsa è stata data lo scorso 6 maggio dal suo partner artistico Ralf Hütter con un comunicato scarno che rispecchiava la glaciale riservatezza del suo compagno d’avventure. Hütter e Schneider fondarono nel 1970 il gruppo più insolito e dirompente della scena musicale continentale dell’epoca: i Kraftwerk. Florian Schneider era figlio di uno dei più celebrati architetti tedeschi, scelse però un’altra strada, dedicandosi alla musica e studiando flauto traverso. Al conservatorio conobbe Ralf Hütter. Fu il punto di partenza per un progetto artistico che voleva creare una frattura con il passato. «Schneider – ha spiegato il critico musicale tedesco Jens Balzer – fu uno dei primi musicisti in Germania a sperimentare tutte le possibilità attraverso strumenti elettroacustici ed elettronici, manipolando il suono del suo flauto. Voleva creare qualcosa di altro, moderno, futurista». Iniziò così a maturare l’idea di una «neue Volkmusik». Il contesto però non va ignorato. La Germania dell’epoca, come ha scritto il critico letterario Andreas Huyssen era un deserto culturale: «Il paese che aveva prodotto il cinema di Weimar e le avanguardie negli anni Venti era, nell’ambito della cultura dell’immagine, morto da due decenni: quasi nessuna novità nel cinema, nessun dipinto di cui poter parlare, un minimalismo forzato in un ground-zero di amnesia visiva». A Düsseldorf qualcosa si stava però muovendo, la Kunstakademie, l’accademia artistica, era portatrice di innovazioni e trasgressioni con figure come Joseph Beuys, Gerhard Richter e Anselm Kiefer. Schneider e Hütter si fecero ispirare da quel clima e cercarono di indirizzare quel fermento creativo in un progetto musicale in grado di essere anche linguaggio visivo.

Florian Schneider

GLI ESORDI
«Negli anni Cinquanta e Sessanta era tutto americanizzato, tutto basato sul consumismo. Ma il movimento del ’68 creò nuove possibilità» ha ricordato Hütter. La loro prima incarnazione fu la band Organisation che produsse un album di rock minimalista inciso a Londra nel 1970. Ma i due erano già pronti per una nuova avventura e nacquero i Krafwerk (Centrale elettrica). Fondarono nella loro città uno studio di registrazione, il Kling Klang, e proseguirono nel loro progetto di portare la musica in una nuova era. I loro primi tre album (Kraftwerk, Kraftwerk 2 e Ralf und Florian) sono i segnali di una metamorfosi in corso che si completò con Autobahn, il loro capolavoro del 1974, un disco tanto importante per come suona quanto per quello che rappresenta. Nasceva la musica elettronica non solo come avanguardia e sperimentazione, ma, e forse soprattutto, come declinazione del pop. La lunga suite di apertura venne editata in un singolo che fu il primo successo commerciale internazionale pop made in Germany. I Kraftwerk divennero parte di una scena autoctona che fu definita (non senza sarcasmo) krautrock, che avrà in Düsseldorf una delle capitali, e furono i pionieri nell’utilizzo di synth, batterie elettroniche e di un armamentario che diventerà un alfabeto musicale universale.
La loro musica si tradurrà anche in un’immagine artistica studiata e sempre più evoluta che prendeva le mosse dall’estetica monumentale e avveniristica lasciata in eredità dal nazismo e veniva riletta non in chiave di «normalizzazione» (secondo la definizione del filosofo Jürgen Habermas), ma come peso di una «unbewältigte Vergangenheit» (passato non superato) e come rielaborazione utopica e fantascientifica. L’elettronica diventava quotidianità, l’Übermensch diventava un robot, l’uomo si confondeva con la macchina in una visione del futuro che assomiglia al nostro presente. La rivoluzione dei Krafwerk seguì con gli storici album Radio-Activity (1975), Trans-Europe Express (1977), The Man-Machine (1978) e Computer World (1981). La loro influenza non fece che crescere. David Bowie venne sedotto dal loro suono, dal loro stile e dalla loro personalità. «Mi piacevano molto anche come persone – disse il Duca Bianco in un’intervista del ’78 -, soprattutto Florian. Nel 1976 ero in tour in Europa. Ai tempi non usavo l’aereo e andavo in giro con una Mercedes. Florian la vide e disse ‘Che bella macchina’. Io risposi: ‘Sì apparteneva a un principe iraniano, poi l’hanno ucciso e l’hanno messa in vendita’. E Florian disse ‘Ja. Le macchine durano sempre di più’. Lui aveva sempre questa inclinazione, un misto di freddezza e calore».

I DISCEPOLI
L’episodio dice molto dell’ironia tagliente di un artista che praticamente non concesse mai interviste e che finì per confondersi con il robot affabile ma distante del suo personaggio artistico. Il Bowie della stagione berlinese, guidato da Brian Eno, gli dedicherà il brano V-2 Schneider tratto da Heroes, album fortemente influenzato dal krautrock. Intanto Ian Curtis modellava i Joy Division ispirandosi ai Kraftwerk, avvicinando l’elettronica al punk. Nel 1978 un ragazzo dublinese regalava alla sua fidanzata una copia del vinile dell’appena uscito The Man-Machine. Il primo regalo che le faceva. La ragazza diventerà sua moglie. Paul Hewson, che di lì a poco il mondo conoscerà come Bono, non dimenticherà mai quel momento e gli U2 vivranno, anche qui con la guida di Brian Eno, un periodo di grande fascinazione per le sperimentazioni musicali innescate dai Kraftwerk.
«Erano i padrini di chiunque nella nostra generazione si sia occupato di musica elettronica» ha detto Martin Gore dei Depeche Mode. Negli anni Ottanta l’elettronica divenne onnipresente: Gary Numan, The Human League, Ultravox, Visage, OMD, Soft Cell, ma anche Jean Michel Jarre e i Rockets. Il synth divenne il suono di un’epoca e il pop non poteva farne a meno. I semi gettati dal gruppo di Düsseldorf germinarono in luoghi impensabili. Nel 1982 Neil Young si impossessò del suono di Schneider e Hütter e incise il discusso Trans. Planet Rock di Afrika Bambaataa, uno dei primi successi hip hop, conteneva un campionamento di Trans-Europe Expres. Il fortunato singolo del gruppo tedesco del 1983, Tour the France, divenne un brano di culto nei ghetti americani per la scena breakdance. Perfino Michael Jackson pensò a una collaborazione purtroppo mai materializzata.
Intanto i Krafwerk si immersero in un’iconografia cibernetica. Il loro ultimo scatto fotografico come band umana risale al 1978 da allora prevalse un’immagine robotica, un algido ascetismo elettronico. In tempi più recenti la loro influenza non è venuta meno: i francesi Air e Daft Punk ne sono una diretta emanazione; Björk, The Orb, Aphex Twin li hanno citati come riferimenti fondamentali. Il sodalizio «Ralf und Florian» si ruppe nel 2008. Schneider lasciò, pare in malo modo, poco dopo l’annuncio di un nuovo tour dei Krafwerk in compagnia di un altro gruppo che li ammirava molto, i Radiohead (ebbene sì, Ok Computer pagava pegno ai pionieri). Nel 2014 i Krafwerk ricevettero il Grammy Award alla carriera, ma il premio venne ritirato solo da Hütter. L’ultima testimonianza musicale di Florian è il singolo ecologista Stop Plastic Pollution del 2015. Non si sa se la frattura tra i due si sia alla fine ricomposta. Si sa solo che è stato Hütter a rendere pubblica la scomparsa del compagno avvenuta proprio quando il mondo assomiglia a un incubo distopico degno di un loro concept album: una realtà in cui gli esseri umani si sono distanziati tra di loro, delegando affettività e legami personali a computer e apparecchiature elettroniche.